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Intevista a Gaja Cenciarelli, traduttrice professionista

Intevista a Gaja Cenciarelli, traduttrice professionista


Di Laura Costantini

Guardiamo i film doppiati. Leggiamo i libri tradotti. Eppure nessuno mai dedica un pensiero a quelle misteriose creature che ci consentono di riempirci la bocca affermando di aver letto l’ultimo dei giallisti svedesi o il più cool degli autori giapponesi. Ebbene, i traduttori ESISTONO. E noi ne abbiamo incontrata una. Piccola, pallida, dalla testa in fiamme in tutti i sensi: Gaja Cenciarelli.

- Quando hai deciso di dedicarti alla traduzione e perché?
Leggendo Stephen King e facendo sempre molta attenzione al nome del traduttore Tullio Dobner (che invidiavo visceralmente, perché poteva leggere in anteprima le sue storie), mi sono detta: ecco, voglio fare la traduttrice. Poi ho cambiato idea, ho abbandonato quella strada, mi sono dedicata ad altri lavori, sempre in ambito editoriale, ma sai com’è, no? Talvolta è la tua strada che ti cerca, anche quando tu ti dimentichi di lei. Dannazione. Stessero zitte le strade, a volte, farebbero meno danni. Ero in contatto con un editore, manifestolibri, con cui dovevo pubblicare un saggio sulla scrittrice irlandese cui ho dedicato la mia tesi. Quel libro non è uscito, in compenso ho ricevuto la mia prima proposta di traduzione. Era il lontano 2002. Da allora in poi non ho mai smesso. So’ una donna del Toro, ‘ndo m’attacco mòro (non è proprio vero, per fortuna, ma la rima mi scappa sempre, non riesco a trattenerla mai, questa rima, sarà l’età).

- Che tipo di libri traduci, ti sei specializzata in un genere particolare?
Traduco ogni genere di libro, anche saggi. Ogni genere. Belli e brutti, li traduciamo tutti.

- Esistono traduttori che hanno legato il loro nome a quello di un autore (mi viene in mente Tullio Dobner con Stephen King). Come traduttrice hai un TUO autore?
Ne ho più di uno, ma quello al quale vengo più spesso associata è Brendan O’Carroll, irlandese, famosissimo in patria e molto venduto anche in Italia. Un cazzone spiritosissimo, un comico, un personaggio, un battutista, un attore, un tutto quello che volete, cui hanno chiesto in ginocchio di scrivere un libro. E lui l’ha fatto. Quando ti chiedono qualcosa in ginocchio, voglio dire, che fai? Rifiuti? Quando ti bussano alla porta con i piedi perché hanno le mani occupate dai doni, pure se quelli che bussano sono greci [questa la capiamo in tre], che fai, rifiuti? Poi gliene hanno chiesto un altro, e lui l’ha scritto. Poi un altro ancora, e lui l’ha scritto. Poi un altro ancora, e lui l’ha scritto. Poi un altro ancora, e lui l’ha scritto. Capite bene che sono diventata una traduttrice famosissima [tacete, branco di avvoltoj sarcastici che non siete altro]. Peccato che i traduttori non vengano pagati con le royalty sulle vendite.

- Sei una scrittrice. Sei una traduttrice. Due anime ben distinte, oppure serve una simbiosi per rendere al meglio un linguaggio, uno stile, un’anima altri rispetto a noi?
No, quando traduco sono traduttrice a tutti gli effetti. Ed essere traduttrice significa essere anche riscrittrice. Ma al servizio del testo che si traduce, non della propria ispirazione.

- Ritieni esista e sia individuabile una metodologia della traduzione, oppure ogni traduttore ha il suo modus operandi?
Se ti riferisci al metodo con cui si procede durante la traduzione un libro credo che ciascuno abbia il proprio. Per quanto mi riguarda, è come quando hai una ricetta segreta, come il trucco di un numero di magia, non lo dirò mai.

- Perché in un paese che legge soprattutto narrativa straniera, nessuno mai ricorda chi ha tradotto cosa?
Già. Perché? Perché gli addetti ai lavori non ricordano mai il nome del traduttore nelle recensioni, o alla radio, o alla televisione – mi riferisco ai pochi programmi ancora dedicati ai libri. Che, di conseguenza, si traducono da soli. O meglio, quando la traduzione è sciatta il traduttore esiste, quando lo stile è brillante, e nella recensione si lascia spazio anche a virgolettati, il libro si è autotradotto oppure è stato l’autore, magari di nazionalità azerbaigiana, a scriverselo direttamente nella sua madrelingua *e* in italiano. Del resto si sa, gli scrittori sono tutti poliglotti. Tutti. Tu vai da un azerbaigiano e gli parli in italiano e quello ti recita la Divina Commedia. L’editore va dall’autore, gli fa il contratto e, per contratto, l’autore deve riscrivere il testo [giammai usare il verbo tradurre, giammai!] in, che ne so, una media di altre cinque lingue. E lo so. Sono scoperte che traumatizzano.

- Che rapporto esiste tra gli editori, gli autori e i traduttori, posto che esista?
I rapporti tra editori e traduttori sono di natura professionale.

Avremmo un libro da tradurre, ci fai una prova?
Occhei.
La prova è andata bene, ti mandiamo il contratto, la consegna è per il giorno X.
Con gli editori con cui il rapporto è consolidato, spesso la prova non è necessaria.
Tra autore e traduttore può esistere certamente un rapporto. Ad esempio, tramite la casa editrice il traduttore si può mettere in contatto con l’autore per chiarirsi alcuni punti complicati o ambigui. Certo, se gli chiedi: senti, ma son significa figlio o sole?, puoi correre il rischio di essere sent to do in the ass.

- Come si vive di traduzione letteraria?
Si sopravvive. Pur traducendo molto, senza pause, né fine settimana, né ferie estive, si sopravvive.
Però che sopravvivenza, ragazzi (disse lei, che ancora, malgrado tutto, si sentiva una privilegiata a fare questo mestiere. Some things never change. Poi dici che una si scava la fossa con le sue mani).

- Esiste un albo dei traduttori letterari professionisti? Oppure traduttore ci si improvvisa tra un esame e l’altro all’università?
No, non esiste un albo, ma esiste un sindacato (sempre ‘ste strade di mezzo).
E no, traduttori non ci si improvvisa, come non si dovrebbe improvvisare in nessun altro ambito della vita professionale o creativa, traduttori si diventa. La traduzione è uno dei mestieri in cui, più che in ogni altro settore, l’improvvisazione è ridicola e irripetibile (nel senso che quasi sempre non ti danno una seconda opportunità per dimostrare il contrario. La traduzione è Paganini: non ripete. Per quanto, nel senso di pagamento… ma lasciamo stare).

- L’opera da te tradotta che hai amato di più in assoluto.
Ce ne sono molte, anche se sono una piccola percentuale rispetto a quelle che ho tradotto. Soprattutto negli ultimi tempi sono stata particolarmente fortunata:
«L’ultima volta», Desmond Hogan, Playground (un capolavoro);
«Sick City», Tony O’Neill, Playground;
«Guardami», di Jennifer Egan, una delle più grandi scrittrici contemporanee, pubblicato da Minimum Fax, di cui però non ho curato la traduzione (che è di Martina Testa e Matteo Colombo), bensì la revisione.

- I tempi, i modi e le scelte per le opere da tradurre rincorrono quelli del marketing?
Sì, credo di sì, ma non sempre, e non per tutti gli editori.

- Hai mai rifiutato di tradurre un libro perché lo trovavi di scarsa qualità? Un traduttore professionista con un nome ormai noto agli addetti ai lavori ha un margine di scelta? Avresti tradotto la saga di Twilight o le 50 sfumature?
I traduttori noti, che si possono permettere di scegliere le opere, sono pochi, ma ci sono. Inoltre, spesso, non fanno solo quello. Ossia, non sopravvivono solo di traduzione editoriale. Del resto, anche i meno noti talvolta non fanno solo quello. Insegnano, lavorano in qualche redazione.
Per quanto mi riguarda, io che sopravvivo solo di traduzione editoriale, avrei sicuramente tradotto Twilight o le Cinquanta Sfumature di Polvere sei e Polvere ritornerai [speriamo presto], il lavoro è lavoro, e più ce n’è, meglio è. Noi traduttori paghiamo le bollette come tutti gli altri, noi traduttori non siamo choosy, noi. Anzi, se gli editori volessero pagarci puntualmente, così come puntualmente noi consegniamo le nostre traduzioni. Grazie, eh.

- Definisci, in poche parole, cosa significa tradurre un’opera. Il traduttore è uno strumento, un varco oppure un ri-creatore?
Il traduttore è una figura mitologica, metà umano, metà computer. Non è ancora ben chiaro se la metà elettronica sia quella superiore o quella inferiore. In effetti si scambiano di posto a seconda delle necessità, delle esigenze – come dire – dei bisogni.

- Quanto è difficile, se lo è, per una scrittrice quale sei resistere alla tentazione di ri-scrivere?
Quando traduco, io sono una traduttrice e come tale mi comporto.

- Parlaci del libro che stai traducendo adesso.
Non so se sia il caso di parlare in pubblico dei libri che sto traducendo, ho sempre avuto molti scrupoli a farlo. In un certo senso, forse scioccamente, mi sento vincolata alla riservatezza. Posso solo dire che mi sta coinvolgendo molto.

- Parlaci del tuo prossimo libro, quello che devi solo tradurre dal tuo cuore a quello del lettore.
Grazie, ma questa è un’intervista sulla traduzione. Preferisco dedicare tutto lo spazio che mi concedi a una professione fondamentale e fondamentalmente sconosciuta. Di scrittura si parla ovunque e spesso a sproposito (e comunque non avrei detto niente dei miei futuri libri, soprattutto il nome del futuro editore. Ma nemmeno a mio padre, a mio cugino, alla mia gatta. Errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico ed è da un bel pezzo, ormai, che sulla mia candida fronte non compare più la scritta “Gioconda” ). Anzi, ti ringrazio molto di avermi concesso questo spazio, è un angolo in più, un passo in più per tutti i traduttori.

Grazie

A te, cara Laura.

fonte: http://it.ibtimes.com
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Luca Ward a Italia Chiama Italia: ‘credete sempre alle vostre ambizioni’

Luca Ward a Italia Chiama Italia: ‘credete sempre alle vostre ambizioni’

‘Ho avuto l'onore di doppiare tantissimi film, di immedesimarmi nei personaggi, a tal punto, da interpretarli come se io fossi il protagonista’

Luca Ward, uno dei grandi attori e doppiatori italiani, sceglie ItaliaChiamaItalia per raccontare un po’ di sé.
Luca, qual è il doppiaggio che ti è rimasto più a cuore?
“Ho avuto l'onore di doppiare tantissimi film, di immedesimarmi nei personaggi, a tal punto, da interpretarli come se io fossi il protagonista. Sono legato un po' a tutti, però il pubblico, a livello popolare, è più legato al film ‘il gladiatore’. I ragazzi, a distanza di anni, non dimenticano la frase più celebre: ‘Al mio segnale scatenate l'inferno’”.
Ti rivedremo presto in tv?
“Non vorrei anticipare niente, ho appena concluso il tour teatrale con il musical ‘my fair lady’, che ha riscosso grandi assensi di pubblico. Posso solo dirvi che ‘il cattivo ritorna’”. E Luca accenna un sorriso.
Cosa consigli a chi vorrebbe intraprendere la tua carriera?
“Di non abbandonare mai i propri progetti, di credere sempre alle proprie ambizioni, di lottare perché se c'è un reale talento, prima o poi, si riesce a realizzare le proprie aspirazioni o quanto meno è ciò che auguro ai ragazzi, specialmente in questo momento di crisi socio-economica che sta distruggendo l'equilibrio di molte persone”.
Quale messaggio vorresti lanciare ai tuoi fan?
“Colgo l'occasione per dire a tutti quelli che mi seguono: cari amici, grazie infinite per la dedizione e la passione che mi dimostrate tutti i giorni. Adesso potrete seguire le mie novità, i miei aggiornamenti, i miei progetti televisivi grazie a questa pagina ufficiale su Facebook, gestita direttamente da me e integrata da staff autorizzato. Cliccate in tanti e riceverete gli aggiornamenti automaticamente, potrete lasciare i vostri commenti e condividere con me ogni emozione. Non dimenticate: ‘Al mio segnale scatenate l'inferno!’. La mia forza siete voi. W NOI!”.
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INTERVISTA - Professione doppiatore: "La voce è uno strumento da cui ricavare musiche diverse"

INTERVISTA - Professione doppiatore: "La voce è uno strumento da cui ricavare musiche diverse"

Attori dietro le quinte, voci nell'ombra al di làdel grande schermo. All'inizio, negli anno '30 la figura del doppiatore era più che altro una necessità data dall'impossibilità di sottotitolare i film provenienti dall'estero (anche per l'alto tasso di analfabetismo dell'epoca) oggi, invece, è diventata una professione ricercata, che richiama a sé moltissime persone spinte, chissà, da una sorta di irresistibile associazione voce-attore. Un lavoro senza dubbio affascinante per praticare il quale, però, la voce da sola non basta. Prima di arrivare dietro un microfono, infatti, è necessario un percorso di studio tra le varie discipline che compongono questa professione: dizione, fonetica, recitazione e, in seguito, doppiaggio in sala.

Lui, Roberto Pedicini, 51 anni abruzzese, 33anni di doppiaggio alle spalle, è una delle voci più affermate del panorama italiano, uno che la gavetta l'ha percorsa tutta, dall'età di 18 anni, passando dalla radio al cinema, dalle serie tv ai film di animazione, dalle fiction ai videogiochi. La sua voce è quella di molti attori celebri, tra i quali Kevin Spacey, Ralph Fiennes, Rupert Everett, Javier Bardem, Patrick Swayze, Vincent Cassel, Denzel Washington, Kenneth Branagh, Willem Dafoe, Bruce Willis, Gérard Depardieu, Kevin Bacon, John Malcovich, Colin Firth, Benicio del Toro e Alec Baldwin. Ed è proprio insieme a lui che abbiamo cercato di saperne un po' di più su questo lavoro così particolare:

Come si è avvicinato alla professione di doppiatore?
"Grazie alla passione per la musica: avevo 15 anni o poco più, mi divertivo a suonare la chitarra e qualche volta ero ospite di una radio locale di Pescara, la mia città d'origine. Allora, come adesso, la possibilità di essere ascoltato senza essere visto, di utilizzare la voce per raggiungere un pubblico vasto mi affascinava. Trovo sia una modalità di comunicazione che favorisce un rapporto intimo, forte con chi ascolta. In quello stesso periodo, realizzavo anche qualche pubblicità per una piccola tv e ho avuto modo di conoscere Ferruccio Amendola, Giuseppe Rinaldi e Cesare Barbetti. Spesso chiudevo gli occhi, ascoltavo le loro voci e così facendo si materializzavano di fronte a me miti del cinema internazionale ai quali loro prestavano la voce: da Paul Newman a Robert Redford, da Al Pacino a Robert Duvall. È allora che mi sono innamorato di questa professione".

Tra le tante attività legate al suo lavoro, c'è anche l'insegnamento di questa professione: secondo questo è mestiere si può imparare?
"La voce può essere senz'altro educata studiando dizione, fonetica, recitazione, doppiaggio in sala. È come uno strumento musicale dal quale si può ricavare musica di diverso tipo e qualità. Per esempio, tra i personaggi che doppio, oltre ad attori famosi, ci sono anche protagonisti dei fumetti come Gatto Silvestro, Pippo, ma anche persone con handicap, che hanno difficoltà di pronuncia; è quindi possibile adattare e trasformare la propria voce in base alle necessità. Certo, il talento innato e l'essere dotati di una voce eufonica aiutano, ma anche chi ha una voce apparentemente non bella può interpretare personaggi caratteristici".

Qual è l'attore che preferisce doppiare?
"Mi piacciono molto Havier Bardem e Kevin Spacey".

Da dove nasce la tradizione di doppiare i film?
"Purtroppo dall'ignoranza. Negli anni '30, nelle sale arrivavano molti film statunitensi e poiché nel nostro Paese c'era un alto tasso di analfabetismo era impossibile ricorrere ai sottotitoli: fu il solo modo per favorire la diffusione delle pellicole. Il ricorso al doppiaggio è stato favorito, inoltre, dal fascismo che spesso modificava ed mitigava alcune battute contenute nelle opere originali".

Le è mai capitato di essere lei davanti la macchina da presa e di recitare in prima persona in qualche film?
"Sì, ho lavorato come attore sia in tv, in 'Don Matteo', sia al cinema, per esempio ne 'L'inchiesta' di Giulio Base. Mi piace, ma solo occasionalmente".

Quanto, secondo lei, le nuove tecnologie diffuse nel cinema hanno cambiato la sua professione?
"L'hanno trasformata totalmente. Con il cinema digitale ci sono i cosiddetti 'loop' di pellicola, che permettono di individuare con facilità i punti da doppiare e da correggere. La digitalizzazione ha sicuramente velocizzato il lavoro e migliorato l'audio come nella musica".

E lei, che rapporto ha con la tecnologia?
"Navigo molto in Internet ma non frequento i Social Network. Mi affascina molto la tecnologia applicata alla musica o al cinema, ad esempio adoro i film in 3D".

C'è uno scienziato a cui presterebbe volentieri la voce?
"Mi piace essere la voce narrante nei documentari scientifici e lavoro spesso per Discovery Channel e per il National Geographic".

Si interessa di ricerca?
"Ciò che mi affascina in particolare è il momento della scoperta, che può arrivare casualmente, come nel caso di Alexander Fleming con la penicillina, ma è comunque il punto di arrivo di un'attività rigorosa fatta di impegno e di passione".

(*) Intervista a cura di Rita Bugliosi per l'Almanacco della Scienza del Cnr
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La voce nell'ombra. Intervista a Ivo De Palma

La voce nell'ombra. Intervista a Ivo De Palma

Chi lavora nel settore dello spettacolo e della cultura sa che sono settori nei quali la professionalità è fondamentale. L’Italia con le sue politiche per la cultura e lo spettacolo, come anche l’abitudine nostrana della raccomandazione, non aiutano il mantenimento di certi standard lavorativi. È bene accendere i riflettori su chi lavora in questi mercati con passione mettendo in evidenza l’importanza di: preparazione, motivazione e determinazione. Ivo De Palma si racconta.

Cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera di doppiatore?
Ho approfondito la recitazione, a nemmeno vent'anni, per rendere meglio come animatore radiofonico e ho scoperto un mondo che non conoscevo, molto più intrigante. E' stato abbastanza naturale specializzarmi in quello che fino ad allora era stato il mio punto di forza, cioè la voce. Che non va considerato un semplice accessorio, come se fosse un nostro plug-in audio, ma uno strumento importante per l'espressione della nostra personalità, e in grado di regalare emozioni anche usato di per sé.
Attore, doppiatore, direttore di doppiaggio e dialoghista. Quali definizioni daresti a queste tue professioni e cosa rappresenta per lei la voce?
L'attore approfondisce una serie di tecniche, alcune psicologiche, altre mimiche e dinamiche, altre ancora vocali, tese a una qualche forma di rappresentazione, realistica o simbolica che sia, nei vari ambiti di possibile fruizione da parte del pubblico: teatro, cinema, radio e così via. Mediamente, in Italia, ognuno di noi eccelle in uno solo di questi ambiti, ma vi sono casi di professionisti decisamente più completi di altri. Il doppiatore è un attore eminentemente vocale, che rinuncia al gesto e alla propria fisicità per dare personalità in lingua italiana ai volto di altri. La sua creatività sta nell'assecondare le azioni mimico-fisiche di un'altra persona, per dare l'illusione che da quel corpo altrui esca la sua voce. Ricostituisce, nel modo più attendibile, il binomio inscindibile voce-volto, nella nostra lingua. C'è, ma è come se non ci fosse, e il fatto che non si veda non lo rende certo meno necessario. Il direttore di doppiaggio è il regista delle voci, ed è in genere un veterano del mestiere, in grado di indirizzare al meglio i professionisti navigati e guidare passo passo eventuali principianti. Ha la conoscenza complessiva del prodotto in lavorazione, che ha visionato integralmente, sceglie le voci più adatte, o propone al cliente, se quest'ultimo intende avere l'ultima parola, tre o quattro voci tra le più adatte per ogni singolo protagonista. Sta a lui curare che le voci raccontino al meglio la storia da narrare, con particolare riguardo alla resa delle sfumature e dei sottotesti. Sta a lui, in sostanza, ottenere che attraverso ciò che viene detto si intraveda anche, e talvolta soprattutto, ciò che viene sottaciuto. Il dialoghista traduce (o fa tradurre) e adatta in italiano i dialoghi originali. Avendo l'obbligo di rispettare le lunghezze dei labiali, non sempre può accontentarsi della traduzione letterale. Talvolta deve aggiungere qualcosa di propria iniziativa, o viceversa togliere, senza troppo danno per il senso generale. Altre volte, più che "tradurre" deve "trasporre" e quindi magari anche "tradire", perché ci sono casi in cui meno sei fedele all'originale e più sei fedele!
Prima di fare il doppiatore, lavorava in radio private. Come si diversifica questo mezzo di comunicazione di massa rispetto agli altri?
La radio è il regno del suono, quindi della musica e della voce. Infatti è il mezzo attraverso cui si apprezzano molto bene entrambe. E' il tramite attraverso cui la voce può parlare a uno solo, ed essere ascoltata e intesa da migliaia, ognuno dei quali si sente quel solo, privilegiato, destinatario. Non a caso, nel famoso intervento radiofonico di cui molti hanno appreso attraverso il film "Il discorso del re", Giorgio VI dice che, attraverso la radio, intende parlare ai suoi sudditi "uno per uno".La radio è il luogo in cui la voce può animare storie, creare scenari, regalare emozioni a costi relativamente contenuti. Con 4 voci giuste, musiche pertinenti e qualche suono adatto alla bisogna potremmo ambientare complessi intrighi nelle sontuose corti europee dell'800, o avveniristiche trame nei pianeti più lontani. Produrre le stesse storie per il cinema avrebbe costi e tempi di produzione proibitivi, che solo una grande industria potrebbe permettersi.
Tra i tanti personaggi doppiati, a quale è più affezionato e perché?
A parte Pegasus, personaggio che nella mia carriera, così come nel mio cuore, ha un posto speciale, sono molto affezionato a Kanbei Shimada, il capo dei samurai nell'anime Samurai 7. Tunica bianca, lunghi capelli scuri e barba folta, è praticamente un Gesù Cristo con la katana. Personaggio carismatico, ma con caratteristiche da anti-eroe che mi piacciono molto: a tratti malinconico, con qualche sconfitta alle spalle, è un personaggio molto vero, molto umano. Non il fanatico cultore di un codice guerresco, ma un uomo che l'esperienza di vita ha potuto addolcire, e rendere consapevole che tra il bianco e il nero esistono molte sfumature intermedie.
Quale differenza c’è tra la comunicazione e l’informazione?
Al di là di ciò che ognuno di noi può agevolmente trovare in merito su qualunque motore di ricerca, credo di poter dire, in estrema sintesi, che l'informazione non può prescindere da una qualche forma di comunicazione, a partire dalla semplice richiesta di ottenerla. Purtroppo, viceversa, non sempre la comunicazione veicola un'effettiva informazione, o comunque un'informazione attendibile, e quindi utile.
Quali consigli darebbe a quei giovani che vogliono intraprendere la carriera di doppiatori?
Il Maestro Maito Gai, tra i protagonisti dell'anime Naruto, darebbe una ricetta molto semplice. Tre ingredienti che mi sentirei di sottoscrivere, anche perché validi a prescindere: preparazione, motivazione, determinazione. Mi rendo conto che suona tutto molto generico, ma è senz'altro molto più concreto che limitarsi al romantico, ma un po' abusato, "non abbandonate i vostri sogni". Intendiamoci, è concetto fondamentale anche questo, purché ai sogni, però, molto umilmente e concretamente, si diano gambe per camminare, e magari ali per volare.
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Il doppiatore di Ryo Hazuki al lavoro su Shenmue 3?

Il doppiatore di Ryo Hazuki al lavoro su Shenmue 3?

Corey Marshall, storico doppiatore di Ryo Hazuki (il protagonista della saga di Shenmue) ha recentemente pubblicato sul suo profilo Facebook un paio di foto che lo ritraggono negli studi SEGA.

Nella prima si trova alle prese proprio nella cabina di doppiaggio, mentre nella seconda è alle prese con un cartonato promozionale di SEGA.
Non ci è ancora dato sapere il motivo per cui Corey era negli studi del colosso giapponese, ma tutto lascia presagire che questa volta Shenmue 3 può essere davvero vicinissimo nell'essere annunciato.
Non ci resta che incrociare le dita.
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Rich Moore rivela qualche idea sul sequel di Ralph Spaccatutto!

Rich Moore rivela qualche idea sul sequel di Ralph Spaccatutto!

Vedremo mai Ralph Spaccatutto 2? Il regista Rich Moore e i doppiatori di Ralph e Penelope sperano proprio di sì, tanto che stanno già discutendo delle possibili idee per il sequel. La più gettonata è quella che prevede l’utilizzo di più versioni di Ralph…

Dopo il successo di Ralph Spaccatutto si era vociferato un possibile sequel, e il regista del film Rich Moore ha confermato in un’intervista a Hypable che al momento sta considerando delle possibile idee che potrebbero essere usate nel prossimo film.
“È così divertente questa domanda perché stavo giusto parlando con John C. Reilly (la voce originale di Ralph, ndr.) e abbiamo parlato proprio di questo. Ci sono altri Ralph? Che cosa accadrebbe se un altro gioco di Fix It Felix Jr. venisse collegato? Ci sono altre versioni di Ralph più contemporanee? Esistono delle versioni del gioco che sono state fatte per i cellulari? Sono dei giochi simili a Super Smash Brothers in cui sono raccolti tutti i personaggi in un gioco di combattimento? Che cosa accadrebbe se Ralph si trovasse faccia a faccia con le diverse iterazioni di se stesso? Sono state fatte alcune conversazioni davvero fantastiche, quindi penso che sia così divertente parlarne perché è qualcosa che stiamo sperimentando in questo momento”.
Ma Moore aggiunge che non può rivelare i temi che potrebbero essere esplorati nel seguito.
“Sono in un momento adesso, dove è difficile rispondere a questa domanda, perché ci stiamo pensando proprio in questo momento ed è una storia molto, molto interessante”.
Per quanto riguarda delle possibili differenti versioni di Ralph, Moore ammette che si tratta di una proposta interessante che potrebbe dare vista ad una storia intrigante.
“Apprezzo molto che ne abbiate parlato, perché significa che non siamo i soli che ci stanno pensando”.
Il cast, tra cui John C. Reilly e Sarah Silverman, e la troupe hanno dimostrato interesse per il seguito, ma la Disney non ha ancora dato il via libera, probabilmente sta aspettando di vedere come saranno le vendite home video del film. Per quanto riguarda invece i possibili personaggi che potrebbero comparire in Ralph Spaccatutto 2, Moore spera di poter inserire Tron, che sperava di inserire nel primo film, e Super Mario della Nintendo.
In effetti l’idea delle versioni di Ralph è senza dubbio quella più interessante, ma anche quella della versione del gioco per cellulari non è male, perché potrebbe aprire il mondo di Ralph all’intera rete internet.
Il film, che è stato presentato al Comic-Con 2012 di San Diego ha fatto il suo ingresso nelle sale americane il 2 novembre 2012, mentre in italia è arrivato giovedì 20 dicembre. Per tutte le novità sul film qui trovate la pagina facebook italiana del film. Il film sarà disponibile in DVD e Blu-ray dal 9 aprile.
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Come traduttrice “mi interessa vedere come il testo comincia a suonare in russo”

Come traduttrice “mi interessa vedere come il testo comincia a suonare in russo”


Oksana Liskovaja

Ogni popolo ha la propria percezione della lingua. Accade che interi strati del lessico potrebbero essere presenti in una lingua e mancare nell'altra. Per questo al traduttore è affidato un compito molto difficile. Trovare il modo e dare vita agli elementi mancati, conservando lo stile e l'energia dell’originale, -ha raccontato Anna Fedorova a “La Voce della Russia”, traduttrice, vincitrice del concorso internazionale “Premiere” tra i giovani drammaturghi, due volte finalista del Premio italo-russo “Raduga” per le traduzioni letterarie. Tra gli autori da lei tradotti vanno menzionati Luigi Malerba, Luciana Littizzetto, Franco Arminio, Emmanuele Tonon, Dacia Maraini ed altri.

- E' facile tradurre la letteratura italiana?
- Non direi. Nella letteratura italiana più di tutto mi attira la melodia della sua lingua. L'erotismo della lingua, la sua sensualità eccezionale. La sensualità che le appartiene e che si disvela praticamente in ogni opera d'arte. Trasferire queste sensazioni in russo è difficile, ma molto avvincente.

- Il traduttore si separa dall'autore, guarda il testo da lontano, lo valuta?
- Traducendo diversi autori, vivi diverse vite, fai entrare l'autore ed i suoi personaggi nella tua vita, arricchendoti, sviluppando la tua personalità. La traduzione letteraria èl'immedesimarsi in un testo estraneo, è compenetrazione nell'autore, è la creazione dell'opera d'arte nella lingua del traduttore.
Per me la traduzione è prima di tutto la gioia del processo di co-creazione con l'autore tradotto. Soprattutto quando riesci a conservare la pulsazione del testo, quando il testo russo suscita le stesse emozioni di quelle suscitate nei lettori del testo originario. Ma quando porti il libro su un altro terreno culturale alcuni fili si strappano, semplicemente perché i lettori russi sono educati ad altri libri, altre fiabe ... e nella loro mente non nascono le stesse allusioni e sensazioni che hanno i lettori del testo originale. L’importante è non dimenticare che la traduzione deve diventare parte della letteratura di provenienza del lettore che leggerà la traduzione così come leggere gli stessi scrittori russi.

Secondo lei, che cosa distingue la letteratura italiana dalle altre letterature del mondo?
Io non percepisco la letteratura come un processo, la percepisco tramite la lingua, nel suo divenire. Dal punto di visto linguistico, la molteplicità straordinaria delle melodie è insita nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri. E' un testo brioso, florido, con molte sfumature linguistiche e questo testo adesso fa parte della cultura russa grazie alla traduzione di Michail Losinskij. Altro esempio è il “Decameron” di Giovanni Boccaccio, un libro meraviglioso che porta la propria energia positiva nei secoli. In esso è posta l'aspirazione alla libertà, l'apertura verso il nuovo, l'ampliamento degli orizzonti e questi tratti appartengono non solo a quel libro, ma a tutta la cultura italiana nel suo insieme. La cultura teatrale dell'Italia ci ha regalato la commedia dell'arte, il teatro di Galdoni e Gozzi, Pirandello e Dario Fo. Inoltre il futurismo e l’ insolita figura di Aldo Palazzeschi.

Chi ha tradotto in modo più interessante in russo gli autori italiani?
La traduzione poetica dall'italiano per me è prima di tutto il mio maestro Evgenij Solonovič, professore di traduzione letteraria dell'Istituto Universitario di Letteratura “Maksim Gorkij”. Molti traducono le poesie, ma non tutti fanno nascere la Poesia. Da Solonovič nasce poesia meravigliosa, una poesia italiana in lingua russa. Ha tradotto i sonetti di Petrarca, Dante, la poesia di Lorenzo de Medici, Ludovico Ariosto, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Giuseppe Gioachino Belli e molti altri poeti e anche la prosa... Tra i traduttori della narrativa stimo tanto Ghennadij Kiselev. Leggendo le proprie traduzioni studio, scopro nuove possibilità di ricreazione del testo. Grazie a Elena Kostjukovič tutta la Russia si è immersa nella lettura dei romanzi di Umberto Eco. La prosa di Pier Paolo Pasolini è stata tradotta molto bene da Natalia Stavrovskaja e Irina Zaslavskaja.

- Quali le novità letterarie italiane più interessanti che giungono in Russia?
Attualmente si traduce molta narrativa italiana. Posto notevole lo occupano Umberto Eco, Niccolò Ammaniti, Roberto Saviano. La rivista “Inostrannaja Letteratura” (Letteratura Straniera) pubblica regolarmente scrittori italiani, facendo conoscere lettori di generi diversi, inoltre dedica numeri completi solo alla letteratura italiana, per esempio, nell'ultima edizione “italiana” è stata rappresentata la raccolta dei racconti del “noir” femminile, la poesia e la prosa di Maria Luisa Spaziani tradotte da Anna Jampolskaja.

Quali rapporti hanno i lettori italiani con la Russia? Conoscono qualcosa della letteratura russa?
- Certo. C'è interesse, in Italia, per la letteratura russa, tuttavia il lettore di massa conosce solo quella classica peraltro molto diffusa: Gogol, Tolstoj, Chekhov, Dostojevskij, Bulgakov, cioè la comprensione della letteratura russa tra gli italiani è molto condizionata, la letteratura moderna per loro è un completo di miti e stereotipi, nonostante esistano buone traduzioni non solo della classica, ma anche di scrittori contemporanei come Solgenitsin, Dovlatov, Pelevin, Sorokin, Grishkovets.
La casa editrice Adelfi ha arricchito la cultura italiana, pubblicando molti notevoli testi russi, incluse le opere filosofiche di padre Pavel Florenskij, i saggi di Lidija Čukovskaja, la prosa di Navokov, Brodskij, Gogol, Aksakov, Pushkin, Lermontov, Platonov, Rosanov, Šalamov e infine l'arciprete Avvakum.
La traduttrice Anna Fedorova collabora con diverse case editrice e, dopo esser diventata parte dei circoli intellettuali di entrambi Paesi, cerca di far conoscere al maggior numero di lettori gli scrittori italiani in Russia e gli autori russi in Italia.