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Dietro al lavoro dello scrittore: intervista a Silvia Soccio, editor, traduttrice e interprete

Dietro al lavoro dello scrittore: intervista a Silvia Soccio, editor, traduttrice e interprete

Quanto lavoro c’è dietro a un libro, oltre al lavoro creativo dello scrittore stesso?

Noi del Giornale di Montesilvano lo abbiamo chiesto a Silvia Soccio, editor freelance, traduttrice e interprete.

Silvia Soccio ha conseguito  la  laurea in  Traduttori  e  Interpreti  presso l’Università  G. D’Annunzio  di Pescara  nel  2009  e,  da  allora si occupa  di  traduzioni  dallo spagnolo, francese  e  inglese  verso l’italiano,  di editing,  correzione  e impaginazione di romanzi, racconti, saggi, articoli e poesie.
Ha  corretto  diversi  testi  per  conto  di  scrittori  abruzzesi, spaziando  dalla fantascienza alla saggistica.
Attualmente collabora con un antropologo catalano (Josep Maria Fericgla) per la traduzione e pubblicazione dei suoi saggi in italiano.
Si dedica, inoltre, all’organizzazione di eventi culturali e presentazioni insieme al collega Alessio Masciulli per la promozione di autori emergenti.

Cara  Silvia,  innanzitutto  ti  ringrazio  per  aver  accettato  di  essere intervistata da me. Come ti è accaduto di appassionarti alla scrittura?

Cara  Ilaria,  grazie  a  te  per  avermi  dato  l'opportunità  di  essere intervistata. Più che di scrittura in realtà sono appassionata di lettura. Ho sempre adorato leggere e sto cercando di far convergere questa mia passione con il lavoro. Leggere lavorando, lavorare leggendo.

Hai  fatto  studi  linguistici,  sicuramente  questo  ti  ha  condizionato  in questa tua scelta professionale o è viceversa, ossia la passione per la scrittura, che in qualche modo ti ha indirizzato verso questi studi?

La scelta di studiare lingue è scaturita dalla mia passione per i viaggi, dalla curiosità di conoscere altre culture, altri modi di vivere,  altri suoni. Poi,  strada  facendo,  ho  capito  che  volevo  diventare  traduttrice editoriale, quindi l'idea del libro mi ha sempre accompagnata e questa resta  la  mia  passione  principale.  Addentrandomi  nella  realtà  della traduzione editoriale, mi sono resa conto che avrei potuto sfruttare le nozioni  e  i  meccanismi  della  traduzione  anche  per  la  correzione  di romanzi e saggi in lingua italiana. Per quanto possano sembrare due operazioni  distinte  e  distanti,  in  realtà  sono  molto  affini.  L'analisi profonda  della  lingua  le  accomuna,  il  penetrarla  fino  a  giungere all’essenza della parola esplicita o implicita.

Collabori con lo scrittore Alessio Masciulli: come è nato questo progetto artistico condiviso?

La  collaborazione  con  Alessio  Masciulli  è  nata  mentre  mi  stavo occupando di organizzare una presentazione per conto della scrittrice Siria Evangelista. E' grazie a lei che ci siamo incontrati. Mentre ero con Siria alla Mondadori di Chieti  Scalo, e stavamo parlando con Luigi, il proprietario,  per  organizzare  la  presentazione,  lui  ci  ha  parlato  di Alessio, dicendoci che avrebbe tenuto una presentazione proprio nella sua libreria, di lì a qualche giorno.  Così andai a conoscerlo, gli chiesi dei consigli  su  come  impostare  la   presentazione  e  lui,  mi  ricordo,  fu disponibilissimo e non esitò neanche un attimo a svelarmi tutto quello che aveva imparato durante quegli anni. Andò a finire che facemmo insieme  la  presentazione  di  Siria  e,  successivamente,  Alessio  mi coinvolse in altri progetti, aprendomi tante porte. Non lo ringrazierò mai abbastanza. Da allora abbiamo cominciato a collaborare organizzando eventi culturali. Il  prossimo in cantiere, per fine agosto. Ma è ancora presto per svelare i dettagli...

Cosa vuol dire curare l' editing di un romanzo, sia in termine tecnico che di impegno necessario?


Curare l'editing di un romanzo vuol dire lavorare in profondità sul testo, partendo  dallo  strato  più  esterno,   quindi  dalla  grammatica  e ortografia, per scendere a mano a mano sempre più all'interno, verso la sintassi, il lessico, la semantica, lo stile, il significato. Nel caso del romanzo, oltre alla semplice correzione di refusi ed errori, l'editor deve rendere il testo fluido, se non lo è già, deve controllare che fabula e intreccio  siano  ben
strutturati,  che  i  riferimenti  spaziali  e  temporali siano  corretti  e  coerenti  in  tutto  il  testo,  che  i
personaggi  siano caratterizzati  in  modo  logico  e  che  aderiscano  al  loro  registro linguistico,  che  siano
verosimili.  Si  tratta  di  un  lavoro  mirato  a rafforzare compattezza, coerenza e fluidità, rielaborando, qualora ce ne fosse bisogno, i punti deboli. Il tutto stando sempre molto attenti a non prevaricare mai l'autore, in un continuo gioco di equilibrio che si muove sempre sulla corda dello stile proprio dell'autore. Grazie al profondo rispetto che nutro verso il lavoro  di creazione dello scrittore, più che modificare il testo io tendo sempre a proporre soluzioni alternative e discuto con lui ogni singolo cambiamento.  Non  modifico
mai  nulla  se  non  ho  il  consenso  dello scrittore.  Questo rapporto di fiducia è indispensabile, a mio avviso, per Il progetto che fino ad ora mi ha dato più soddisfazione in assoluto è quello  della  traduzione  del
saggio  di  antropologia,  perché  è  stato  il primo  e  perché  l’ho  portato  avanti  da  sola,  dalla  ricerca
della  casa editrice per la pubblicazione, al rapporto con la casa editrice spagnola per  la  cessione  dei
diritti,  il  contatto  diretto  con  l’autore  che  sono andata a conoscere personalmente a Barcellona. Insomma l’ho curato a 360 gradi. E spero che questo libro sia solo il primo della lunga serie di testi scritti da questo autore che mi auguro di far conoscere al pubblico italiano. Ovviamente sono molto soddisfatta anche di tutti i testi che ho corretto e revisionato in questi anni per conto di autori locali. È a loro che devo il mio ingresso in punta di piedi nel mondo editoriale.

Quale delle lingue da te conosciute, a parte l’italiano, senti più tua e per quali motivazioni?


Come forse potrete intuire dalla risposta precedente, la lingua che più di tutte sento mia è lo spagnolo. Ho sempre subito il suo fascino, la sua musicalità, la sua sensualità. Ho anche vissuto in Spagna per un periodo e lì ho avuto modo di innamorarmi perdutamente di questa lingua e di addentrarmi nella cultura dalla quale è nata, con tutte le contaminazioni e  influenze arabe che la rendono così  evocativa.  Anche se mi  sento totalmente a mio agio con lo spagnolo, tutte le lingue mi affascinano moltissimo, i suoni diversi dall’italiano hanno sempre scatenato in me fantasie di luoghi lontani che avrei voluto e voglio visitare. Ogni lingua è speciale e racconta la realtà attraverso suoni diversi che si uniscono e si accostano per formare un lessico “altro”,  per descrivere il  mondo da un’altra prospettiva e offrire un punto di vista nuovo a chi si addentra tra  le  sue  parole  misteriose  e  i  suoi  suoni  carichi  di  significati  da scoprire.

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Il migliore traduttore online gratuito raggiunge le 80 lingue

Il migliore traduttore online gratuito raggiunge le 80 lingue




Google Translate ha annunciato di avere aggiunto 9 nuove lingue raggiungendo così le 80 lingue disponibili ad essere tradotte online.

Io utilizzo Google Translate praticamente ogni giorno e lo consiglio vivamente a tutti coloro che hanno bisogno di capire il senso generico di un documento o di una frase in una lingua straniera che non capiscono.
Ovviamente la traduzione non sarà perfetta ma nella maggior parte dei casi sarà più che sufficiente. Ho notato inoltre che durante gli ultimi anni la qualità delle traduzioni è andata via via migliorando.
Inoltre se utilizzate il browser Chrome vi verrà offerta l’opzione di tradurre in italiano (o nella lingua che utilizzate all’interno del browser) il testo di pagine Web scritte in una lingua diversa.
Quali sono le nuove lingue aggiunte di recente?
In Africa viene aggiunto il somalo, lo zulu e le tre principali lingue della Nigeria.
Hausa, parlato in Nigeria e nazioni limitrofe con circa 35 milioni di persone che lo utilizzano come madrelingua
Igbo, parlato in Nigeria da 25 milioni di madrelingua
Yoruba, parlato in Nigeria e nazioni limitrofe da 28 milioni di madrelingua
Somalo, parlato in Somalia e in altre nazioni del corno d’Africa da parte di 17 milioni di madrelingua
Zulu, parlato in Sudafrica e altre nazioni dell’Africa sud-occidentale da dieci milioni di madrelingua
In Asia, sono state introdotte lingue parlate in Mongolia e nel subcontinente indiano.
Mongolo, lingua ufficiale in Mongolia e parlata anche in alcune parti della Cina da parte di sei milioni di madrelingua.
Nepalese, parlato in Nepal e India da diciassette milioni di madrelingua.
Punjabi, parlato in India e Pakistan da 100 milioni di madrelingua.
E grazie agli sforzi di volontari in Nuova Zelanda, viene anche aggiunta la lingua dei Maori, parlata da 160 mila persone in Nuova Zelanda.
Quali lingue sono attualmente disponibili su Google Translate?
  • afrikaans
  • albanese
  • arabo
  • armeno
  • azerbaijani
  • basco
  • bengalese
  • bielorusso
  • bosniaco
  • bulgaro
  • catalano
  • cebuano
  • ceco
  • cinese
  • coreano
  • creolo
  • croato
  • danese
  • ebraico
  • esperanto
  • estone
  • filippino
  • finlandese
  • francese
  • galiziano
  • gallese
  • georgiano
  • giapponese
  • greco
  • Gujarati
  • hausa
  • hindi
  • hmong
  • igbo
  • indonesiano
  • inglese
  • irlandese
  • islandese
  • Italiano
  • javanese
  • kannada
  • khmer
  • lao
  • latino
  • lettone
  • lituano
  • macedone
  • malay
  • maltese
  • maori
  • marathi
  • mongolo
  • nepalese
  • norvegese
  • olandese
  • persiano
  • polacco
  • portoghese
  • punjabi
  • romeno
  • russo
  • serbo
  • slovacco
  • sloveno
  • somalo
  • spagnolo
  • svedese
  • swahili
  • tamil
  • tedesco
  • telugu
  • thai
  • turco
  • ucraino
  • ungherese
  • urdu
  • vietnamita
  • yiddish
  • yoruba
  • zulu
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INFLATION IS THE LAST THING WE NEED

INFLATION IS THE LAST THING WE NEED

“Some economists say more inflation is just what the American economy needs to escape from a half-decade of sluggish growth and high unemployment,” the New York Times reports.

One is Harvard economist Kenneth S. Rogoff, quoted in the Times: “Weighed against the political, social and economic risks of continued slow growth after a once-in-a-century financial crisis, a sustained burst of moderate inflation is not something to worry about. It should be embraced.” He favors an annual rate of 6 percent.

“I think higher inflation would help,” economist Jared Bernstein of the progressive Center on Budget and Policy Priorities added.

The Federal Reserve is another place to find advocates of inflation. This includes President Obama’s choice to succeed Ben Bernanke as Fed chair, Janet Yellen.

These people are saying, in effect, that you and I have too much purchasing power. Got that? Too much purchasing power.

Raise your hand if you think you have too much purchasing power. Anyone? I didn’t think so.

Why would anyone want inflation? Because, the Times says, “Rising prices help companies increase profits; rising wages help borrowers repay debts. Inflation also encourages people and businesses to borrow money and spend it more quickly.” (Got that? It helps people to borrow and pay off debts.)

To see if this makes any sense, let’s step back. Strictly speaking, inflation is what happens when a government central bank — in our case the Fed — increases the supply of money and credit out of thin air. When these increase and the supply of goods does not, prices will generally rise — that is, the value of the dollar will fall — and it will take more money to buy things than previously. That’s common sense. If people have more money to spend, not because they produced and sold more goods, but only because the central bank printed it, prices will rise with the rising demand. Generally, a rise in prices is called (price) inflation, but it’s actually just the consequence of (monetary) inflation.

When the value of the dollar falls, our incomes fall, even if wages are nominally unchanged. With price inflation, one hundred dollars buys less today than it did last year. Or, to put our monetary history in perspective, what five dollars bought in 1914, when the Fed first opened its doors, today costs about one hundred dollars. A wage increase might make up some lost ground, but people on fixed incomes don’t get wage increases, so they’re out of luck. Also, prices typically rise faster than wages during an inflationary period.

The advocates of inflation say it will raise business profits. Aside from the fact that raising profits is not the government’s job, does that really make sense? While businesses will be able to charge more for their goods during an inflation, they will also have to pay more for the things that they buy, including labor. Where’s the real gain?

As for the Times’ claim that inflation encourages people to borrow and to spend money more quickly (because its value is vanishing), what’s so good about that? Again, government has no business trying to prod us to borrow or to go on shopping sprees. For one thing, this discourages saving, which cuts against the need for more investment, research, and development — the real stuff of economic growth and rising living standards. Moreover, the Fed can’t be trusted to produce only a “little” inflation.

Inflation is even worse than I’ve suggested. Because Fed-created money enters the economy at particular points (through banks and bond dealers), a select few people get it sooner than the rest of us. Those who are thus privileged are able to buy at the old, lower prices, while the rest of us don’t see the money until prices have risen. That is an implicit tax and transfer.

And the problem isn’t simply a rising price level. Relative prices are what provide entrepreneurs and investors the information required for rational economic calculation and service to consumers. Inflation changes relative prices. Thus, it distorts the price system and, in turn, the multidimensional economic structure. That means any stimulus is unsustainable because the inflationary policy will eventually end and unemployment must follow as the inflation-induced errors are revealed.

Inflation serves the governing class. Honest, hardworking people should abhor it.
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Tiziano Scarpa traduttore: importantissimo scegliere la parola giusta, quella su cui si addossa tutto il peso architettonico della frase

Tiziano Scarpa traduttore: importantissimo scegliere la parola giusta, quella su cui si addossa tutto il peso architettonico della frase

Un grande autore italiano, Tiziano Scarpa, traduce un libro importante, doloroso, essenziale, forte del giornalista e scrittore brasiliano Diogo Mainardi.
Subito nasce la curiosità: come avrà lavorato? Quali difficoltà avrà incontrato? Che significato assume la traduzione per uno scrittore?


Scrittori tradotti da scrittori è stata una collana fondamentale dell’Einaudi, che si rifaceva all’esperienza di Vittorini, e che ha dato origine a libri di altissima qualità. Sintetizzando in modo commerciale: due libri al prezzo di uno. Non a caso, credo, la casa editrice torinese è ancora oggi tra le più attente alla qualità e al valore della traduzione. Sono convinta che questo libro non avrebbe il medesimo impatto narrativo se non fosse stato tradotto da un cesellatore della parola come te...

Guarda, ti interrompo subito. Non sono d’accordo. 
Il libro di Diogo è nitido, cristallino, molato nel quarzo trasparente. Ha frasi lapidarie, perentorie. È un libro sofisticato nella semplicità. 
Quando lo lessi in portoghese, lo capii perfettamente: eppure io non domino quella lingua. Credo che Diogo abbia fatto una scelta stilistica che è anche politica: è una mia idea, ma sono convinto che lui volesse fortemente che questa storia la capissero anche i semianalfabeti. Aveva vissuto (sta vivendo) un’esperienza clamorosa, intensissima, che intendeva far conoscere il più possibile. Perciò ha messo in azione tutta la sua sapienza artistica, di scrittore raffinato, umoristico, diretto, colto, umanissimo. Ha scritto frasi brevi, luminose, profonde, divertenti. Ha costruito sequenze limpide e irresistibili, sia quando vuole commuovere, sia quando vuole far ridere. 
Non è un caso che nel libro vengano fuori Hitchcock e Gianni e Pinotto: un regista e dei comici, cioè quel tipo di artisti che sanno dosare i tempi quasi matematicamente, per provocare reazioni pure, spavento, suspense, allegria, risate.

Tu non sei un traduttore di mestiere (se non erro hai tradotto un libro di Bukowski nel 1999 e basta) come non lo erano molti tuoi illustri predecessori. La prima curiosità è legata a questo tema: come hai impostato il tuo lavoro? Come hai affrontato la traduzione di questo testo che non appartiene alla narrativa né alla saggistica, ma è un insieme di considerazioni, esperienze, idee, pensieri dell’autore estremamente autobiografici? In sintesi: come lavora uno scrittore che traduce un altro scrittore? come riesce a misurare la sua voce per darla a un altro? 

Hai ragione, non sono un traduttore e non voglio sostituirmi a chi lo fa di mestiere, sarebbe arrogante. 
Questa è un’eccezione molto particolare, causata da tre motivi. 
Il primo: Diogo è un amico, conoscevo la storia che racconta, ho assistito ad alcuni momenti e tappe. 
Il secondo: sono veneziano e ho scritto su Venezia, che nel libro di Diogo è, di fatto, uno dei personaggi. 
Il terzo: pubblico con Einaudi, ho accettato la loro proposta anche perché sapevo di poter contare sulla supervisione di Diogo, che parla italiano meglio di me. Detto questo, la traduzione di La caduta è stata un’esperienza entusiasmante. Proprio per quello che ti dicevo prima, ogni frase, ogni parola di questo libro sono state soppesate dall’autore al milligrammo. Lo capisci e ne godi profondamente quando attraversi un libro in questo modo, dall’interno. Tra leggere e tradurre corre la stessa differenza che c’è tra ascoltare un brano e eseguirlo con uno strumento. 
Il lavoro l’ho impostato in maniera molto semplice. Traducevo a blocchi, collaudavo la traduzione a voce alta. Non mi sono mai sentito solo, perché Diogo e sua moglie Anna leggevano le pagine che gli mandavo per posta elettronica e mi indicavano premurosamente i luoghi della Caduta in cui ero inciampato e caduto anch’io. Non ho incontrato particolari difficoltà di comprensione, perché il testo originale è chiarissimo, vuole esserlo. La sfida è stata riuscire a scegliere certe parole-perno che avessero la stessa densità, la stessa intensità dell’originale. Siccome Diogo ha scelto la sintesi, la concisione, l’essenzialità, nel suo testo succede spesso di incontrare parole-architrave, che un altro scrittore magari avrebbe diluito in una perifrasi, in una frase intera. Così diventa importantissimo scegliere la parola giusta, quella su cui si addossa tutto il peso architettonico della frase. In questo senso, mi sembrava quasi di tradurre della poesia, più che della prosa (ma attenzione: come sai bene tu che hai letto il libro, non mi riferisco a una prosa lirica, sentimentalistica: ho menzionato la poesia solo per il suo aspetto sintetico).

In questi anni sono stati pubblicati molti libri che narrano il rapporto padre-figlio legato alla disabilità. Ma questo lo fa in un modo nuovo, drammatico e al tempo stesso ironico. Intelligente. Come lo presenteresti a un lettore? 

Come hai appena fatto tu. Il libro sta ricevendo reazioni entusiastiche. Chi lo legge ne rimane travolto, per commozione e allegria purificatrice. 
Lo stesso succede durante le letture sceniche che ne faccio, la gente piange e ride. È un libro che, certo, racconta che cosa succede quando, per un errore medico durante un parto, un figlio nasce con una disabilità che segna la sua vita e quella dei suoi famigliari. Ma racconta anche che cosa succede quando la vita comincia a girare intorno a un perno, si avvolge su un centro di riferimento. Tito ha rivelato Diogo a sé stesso, il figlio ha rivelato al padre chi è il padre. Detto in termini più astratti, un evento ha realizzato in maniera inaspettata, traumatica e amorosa la personalità di chi lo ha generato e se ne è preso cura. 
“Tito era il risultato di tutto ciò che avevo visto e letto. In particolare, era il risultato di tutto ciò che amavo”, è uno dei punti-chiave del libro. Leggendo questo libro esile e poderoso, si sente il brivido di chi si trova di fronte alla verità, alla verità che lo riguarda personalmente, e ci entra dentro. È come se qualcuno scoprisse la porta destinata a lui, soltanto a lui, e la varcasse, invece di restare tutta la vita davanti alla legge che lo riguarda, davanti alla porta aperta senza entrare, come succedeva nel racconto di Kafka.

Ti piace tradurre? Proseguirai? Quanto interferisce con il tuo lavoro di scrittore (cioè, mentre traduci riesci anche a scrivere)? 

Non ho in programma altre traduzioni. A meno di eccezioni molto speciali. Questa esperienza mi ha impegnato per un periodo limitato, il libro di Diogo è breve. E, in generale, sono abituato a seguire contemporaneamente cose diverse. Mi permette di uscire per un po’ da un libro per farmi crescere il desiderio di rientrarci.

A cura di Giulia Mozzato
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Planes: Gianfranco Mazzoni parla del doppiaggio nel film

Planes: Gianfranco Mazzoni parla del doppiaggio nel film


Il cronista sportivo Gianfranco Mazzoni parla della sua esperienza di doppiaggio nel film Disney Planes.

Dal mondo delle corse automobilistiche di Cars 2, Brent Mustangburger è ancora una volta il telecronista perfetto per raccontare le sfide più avvincenti: nel film Disney Planes sarà lui a far vivere al pubblico i momenti più salienti della gara: ancora una volta la voce italiana di Mustangburger è del popolare cronista sportivo Gianfranco Mazzoni, che in un'intervista esclusiva racconta la sua esperienza sui "circuiti" Disney.

Brent Mustangburger è un'icona Americana per le trasmissioni sportive. Autoproclamatosi "miglior posto in garage", l'entusiasta Ford Mustang del 1964 è considerata una delle più popolari voci nella storia delle gare in tv e viene associata ad alcuni dei più memorabili momenti dello sport moderno. Al Rally Ali intorno al Globo, Brent racconterà in diretta l'azione tappa dopo tappa, con competenza e ineguagliabile precisione. 

Voci italiane di Planes sono anche: Micaela Ramazzotti, che dà voce ad Azzurra, la star italiana delle gare di volo, il tenore Gianluca Terranova, voce dell'esuberante latin lover El Chupacabra e l'insegnante d'inglese John Peter Sloan, che doppia il saggio Bulldog.


Planes, ispirato al mondo di Cars, vede protagonista Dusty, un piccolo aereo che ha come suo unico sogno quello di partecipare alle gare ad alta quota come aereo da competizione. Dusty non è però progettato per gareggiare, perchè nasce come aereo agricolo e soffre di vertigini. Per questo, chiede aiuto all'aviatore navale Skipper per prepararsi a sfidare Ripslinger, il campione in carica. Il coraggio di Dusty sarà messo a dura prova quando cercherà di raggiungere altezze a cui non aveva mai sognato di arrivare prima d'ora, andando oltre ogni record previsto.

Planes è nei cinema italiani dall'8 Novembre 2013.
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Madagascar 3, a Cannes intervista a Ben Stiller, voce di Alex il Leone

Alla 65ª edizione del Festival, l'attore e comico americano, svela alcuni particolari che si celano dietro il personaggio di Alex il Leone: difficoltà nel doppiaggio e simpatiche somiglianze con se stesso.

I doppiatori dei simpatici animali dell'ultimo film d'animazione dellaDreamworksMadagascar 3: Ricercati in Europa. Alla 65ª edizione delFestival di Cannes il sequel del famoso film d'animazione con protagonisti i simpatici animali dello zoo di New York ha fatto il suo debutto mondiale come film fuori concorso. Presenti nella città francese gran parte dei componenti del cast: Ben Stiller, Chris Rock, Jada Pinkett Smith e David Schwimmer, che danno la voce ai quattro protagonisti principali. Oltre a loro anche i tre registi che hanno curato e diretto la pellicola: Tom McGrath, Eric Darnell e Conrad Vernon.
Ben Stiller il famoso comico e attore americano presta la voce ad Alex, il simpatico Leone dalla stramba criniera e dalla dubbia ferocia, e commenta così, ai microfoni della stampa invitata a Cannes, il suo personaggio: "Alex è un tipo positivo, un po' pavido, molto gigione. Adesso lo conosco meglio, la prima volta, avendo doppiato il film senza averlo visto, ero pieno di dubbi, non ho molto in comune con lui, a parte la capigliatura, la mia è solo più corta. In quest'ultimo film è anche più coraggioso, e conoscendo l'Europa, arricchisce la sua cultura". Ben Stiller continua ed alla domanda su quali siano le somiglianze tra lui e Alex scherza dicendo:"Per fortuna non devo ruggire spesso nel film, comunque la cosa che ho in comune con Alex sono i capelli. La sua criniera è uguale ai miei capelli nel 1992."
L'attore, continua la sua intervista affermando alla stampa che il lavoro di doppiaggio non è stato semplice come si aspettasse, ma la possibilità di prestare la voce per ben tre volte ha senza dubbio creato esperienza e consapevolezza: "Io stavo girando un film, ma ho interrotto le riprese per occuparmi del doppiaggio di Alex perché ho paura di Jeffrey Katzenberg. Mi piace il film e negli anni il lavoro è diventato più semplice. La prima volta che mi sono avvicinato al doppiaggio non conoscevo il processo che sta dietro le pellicole animate e la quantità di tempo necessaria. Ora sono più esperto, mi sono permesso di aggiungere del mio e mi sono divertito un sacco."
Infine, trova anche spazio per rivelarci parte della morale contenuta nella storia del nuovo Madagascar 3: Ricercati in Europa. "Uno dei temi principali intorno a cui ruota il film riguarda il potere dell'amicizia. Ogni personaggio unisce le forze agli altri per fare ritorno a casa e si mette al servizio degli amici, poi quando vengono intrappolati nello zoo fanno di tutto per salvare gli altri."
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Scarlett Johansson: “A nessuno piaceva la mia voce”

L'attrice ripercorre gli inizi di carriera al magazine “Interview”



Scarlett Johansson si tuffa nel viale dei ricordi nel corso di un'intervista senza filtro al magazine “Interview”. La protagonista di “Lost in Translation” non fatica a trovare la paura che l'attanagliava a inizio carriera: “Da piccola la mia voce ricordava quella di un'idiota che beve whisky e fuma sigarette una dopo l'altra. Sono sempre stata pessima con le pubblicità perché la mia voce è molto profonda. A 9 anni – spiega l'attrice sex symbol - sembrava che fossi un ubriacone. Con quella voce non potevo neanche fare pubblicità per vendere dolci”.

Forse l'artista neworkese stava solo cercando di bruciare le tappe. Un'operazione che gli riuscì poco tempo dopo attraverso il debutto cinematografico a soli 10 anni nella pellicola “Genitori Cercasi” di Rob Reiner. Il tutto a dispetto di un'iniziale presunta diffidenza dell'industria dei sogni nei confronti della futura enfant prodige: “C'era qualcuno nella classe di mio fratello maggiore che aveva partecipato a qualche pubblicità e faceva teatro. Quindi mia madre mi portò da quell'agente per bambini visto che io amavo i musical. Non mi vollero però. Ero devastata. Pensavo – conclude la Johansson - fosse la fine della mia carriera”.
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Flash – Maria Chiara Carrozza per una Tv senza doppiaggio

Flash – Maria Chiara Carrozza per una Tv senza doppiaggio

Intervenuta ad un forum della agenzia ANSA, il Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha toccato molti punti importanti.
Tra i quali quelli riguardanti la televisione, per la quale il ministro vorrebbe meno programmi doppiati e se possibile tutti programmi in lingua originale. Una richiesta tesa a permettere ai ragazzi di apprendere una seconda lingua, in particolare quella inglese.
La stessa Maria Chiara Carrozza ha poi precisato di non avercela con l’industria del doppiaggio, ma di ritenere necessario il diffondersi di una seconda lingua per affrontare al meglio il mondo moderno, studiando allo stesso tempo le materie classiche.
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Intervista a Luca Ward

Una delle più grandi voci del doppiaggio italiano


La nostra serie d'interviste ai più grandi doppiatori italiani, non progettata e non certa di proseguire oltre questa, continua: dopo Giancarlo Giannini al Festival di Giffoni abbiamo incontrato Luca Ward in occasione di una serata organizzata dalla boutique Nespresso di Roma in occasione della presentazione di due nuove varianti del noto caffè. Ward era lì per presentare quattro letture di brani di prosa, per allietare ad intervalli regolari l'evento. Ma quando vino e assaggini vari hanno cominciato a girare, l'interesse verso le performances dell'attore è decisamente scemato, per la gioia delle orde di fashion blogger venute lì esclusivamente per commentare l'ultimo abito del, per dirne uno, primo Sebastiano Somma di passaggio. Ma tutto questo corollario, un potenziale perfetto extra per il dvd de "La grande bellezza", ci ha comunque permesso di farci una chiacchierata con una delle migliori voci cinematografiche del panorama nostrano, quindi fatene tante altre, noi continueremo a non capire ma ci saremo. 

Davvero gentile e disponibile Ward (per chi non lo sapesse, il doppiatore storico di Russell Crowe e Samuel L. Jackson, tra gli altri), che si sottopone alla mia intervista in un cortiletto di disimpegno, inframezzandoci anche un paio di sigarette. Caratteristica che lo accomuna con Giannini, e quindi il dubbio è legittimo: le sigarette contribuiscono a rendere profonda e "interessante" la voce, accorciano la vita ma allungano la carriera? Continueremo questa serie d'interviste anche solo per chiedere ad un terzo doppiatore conferma di questa cosa.


Non si può pensare di entrare per la prima volta in sala doppiaggio e interpretare un protagonista, o un antagonista che è ancora più difficile
Attore, doppiatore, voce pubblicitaria, telenovelas, ogni possibile professione legata alla recitazione. Considera quest'eclettismo potenzialmente presente in ogni attore o lo ritiene una sua qualità specifica?
Guardi, io ho frequentato giovanissimo la televisione degli anni Settanta. Parlando con i grandi dell'epoca, Foà, Gassman, Tognazzi, tutti mi hanno sempre detto la stessa cosa: se vuoi sempre un piatto di minestra caldo a tavola devi fare TUTTO. E quindi doppiaggio, e quindi le fiction da attore, e quindi il teatro, perfino le telenovelas (e anche questa serata, n.d.r.). Io in questo modo non rimango mai senza lavorare, sono cresciuto da sempre con questa mentalità: riesco a fare qualcosa praticamente tutti i giorni, ed è una cosa che dà grande sicurezza per il futuro. Molti miei colleghi che fanno solo cinema, o solo TV, stanno per mesi senza lavorare tra una produzione e l'altra, a volte.

La professione dell'attore è magnifica anche perché permette, recitando, di diventare una vasta tipologia di tipi umani, di esplorare davvero la complessità di un numero altissimo di diversi caratteri. Il doppiatore, invece, deve fare un lavoro doppio? Deve calarsi il più possibile anche nei panni dell'attore che sta interpretando il personaggio?
Il doppiaggio è una cosa davvero particolare perché è un ibrido, un tramite per portare fuori dalla propria nazione una particolare produzione. Noi doppiatori dobbiamo sincronizzarci sul lavoro, sui respiri, sulle pause, sulla respirazione di qualcuno differente da noi, magari molto differente, e dobbiamo comunque cercare di comunicare un'emozione. Non è una cosa semplice.
Sono tempi duri anche per noi, comunque. Stiamo perdendo lo scettro di migliori doppiatori nel mondo che abbiamo sempre avuto qui in Italia, e questo perché si cerca continuamente di tagliare le spese. Prima capitava che per ultimare un doppiaggio ci dessero dalle otto alle dieci settimane, oggi ce ne danno una. La qualità viene meno, inevitabilmente.

L'elenco degli attori che lei ha doppiato è impressionante. Oltre a tutte le star contemporanee ha spaziato anche nella storia del cinema, passando dal doppiare Gary Cooper in una riedizione di "Addio alle armi" a Joe Dallesandro, il non-attore dei cult di Andy Warhol. C'è ancora qualcosa che non è riuscito a fare, o ritiene di aver raggiunto tutti gli obiettivi?
Una cosa ci sarebbe, mi piacerebbe tanto doppiare il personaggio di Gesù, ma ancora non ci sono riuscito. Quando Zeffirelli fece il suo film con Robert Powell ero troppo giovane, oggi forse sono troppo vecchio. Ma io ci spero ancora.

La sua carriera è stata lanciata anche da due film del 1994, che sono diventati due cult assoluti. Sto parlando di "Pulp Fiction" e de "Il corvo", dove lei doppiava il prematuramente scomparso Brandon Lee. C'era la percezione durante i doppiaggi che quei film sarebbero rimasti così tanto nella memoria collettiva, specialmente "Pulp Fiction"?
Gli anni Novanta erano un periodo particolare. Si lavorava tanto e bene, io quell'anno ho doppiato anche "Quattro matrimoni e un funerale" e "Goldeneye", il primo 007 di Pierce Brosnan dopo quasi dieci anni di silenzio bondiano. La risposta è sì, c'era la percezione di star facendo del grande cinema con dei grandi doppiaggi. Non so se sia un periodo ripetibile, sia nei doppiaggi che nel cinema tout court, che credo stia passando un momento generalmente complicato, un po' di stasi.
C'è poca voglia di rischiare.

Il suo doppiaggio di Jules Winnfield/Samuel L. Jackson in "Pulp Fiction" è quasi unanimemente considerato dalla critica italiana migliore della stessa prestazione dell'attore afroamericano. 
Mi sono definitivamente accorto dell'importanza di quel doppiaggio un pomeriggio a Roma, passeggiando qui in via del Corso. Due ragazzi mi fermano per chiedermi un autografo proprio per quel film, e noto che sulla maglietta di uno di questi c'era tutto il brano di "Ezechiele 25,17". L'importanza di quel lavoro fu data anche dai dialoghi adattati da Francesco Vairano, dalla direzione del doppiaggio di Pino Colizzi, è anche per le loro alte professionalità che siamo passati alla storia.

E sempre per rimanere nell'ambito Jackson/Tarantino, anche con "Jackie Brown" lei realizzò un'ottima prova.
Un film meno apprezzato, ma il ruolo di Ordell fu molto più difficile da rendere di quello di Jules. Più ampio, più sfaccettato.

Crowe, Brosnan, Jackson, Keanu Reeves, Kevin Costner, e l'elenco potrebbe continuare per molto ancora. C'è qualcuno di questi con cui sente di avere più feeling?
No, sono tutti attori straordinari, non saprei scegliere. Ogni volta che reinterpreto un loro ruolo, riesco a mettere qualcosa nel mio bagaglio di attore. C'è sempre da imparare, continuamente.

Togliendo Giannini e pochi altri, è sempre stato difficile per voi doppiatori crearvi una carriera parallela da attori di eguale importanza. Forse in Italia la vostra arte è ancora considerata di serie B, ad un livello inferiore?
Questo è verissimo, ma è tutta colpa di un processo di demonizzazione del doppiaggio che risale agli anni Settanta. È stato dannoso perché ha allontanato gli attori da questo mestiere, creando la sottocategoria dei doppiatori che non fanno altro se non doppiare. Questo ha impoverito entrambi i settori, non so perché sia nata questa demonizzazione, forse perché il doppiaggio era nato nel Ventennio, non saprei immaginarmi altro. Eppure doppiare non è da tutti, mentre oggi sui set, specialmente televisivi, ci vanno davvero tutti: ci sono colleghi che non potrebbero nemmeno sognare d'intraprendere la mia carriera. Io faccio un gran tifo per il ritorno degli attori al nostro mestiere, che è da attori a tutti gli effetti.

Paradossalmente, però, proprio alcuni attori sono stati molto criticati per i loro doppiaggi negli ultimi tempi, su tutti il Bane/Tom Hardy di Filippo Timi in "The Dark Knight Rises".
Questo perché bisogna andare per gradi. Non voglio riferirmi nello specifico al collega, ma non si può pensare di entrare per la prima volta in sala doppiaggio e interpretare un protagonista, o un antagonista che è ancora più difficile. Bisogna iniziare dalle piccole parti, dalle caratterizzazioni, capire prima il mestiere, e poi magari ampliare, ma in maniera graduale.

Ho l'impressione che questa stilettata ai colleghi che credono di entrare in sala doppiaggio in virtù della loro carriera precedente ce l'avesse in canna da un bel po', il buon Luca Ward. Il suo sguardo sembra affermare: «Grazie per avermelo fatto dire». Di niente. E non mi sono nemmeno fatto recitare il monologo di Ezechiele per la mia suoneria, ringraziami anche di questo. Sarebbe stato poco professionale, ma ora me ne pento...
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Un aiuto alle traduzioni? Piuttosto, un aiuto ai traduttori

Un aiuto alle traduzioni? Piuttosto, un aiuto ai traduttori

Intervista a Jürgen Jakob Becker sui contributi destinati alle traduzioni da e verso il tedesco.

In Germania esistono da anni diverse forme di sostegno alla traduzione, rivolte sia a chi traduce in tedesco da una lingua straniera, sia a chi traduce dal tedesco verso un’altra lingua. Forse, però, in molti casi si dovrebbe parlare di contributi destinati ai traduttori, piuttosto che alla traduzione, giacché la maggior parte dei programmi mira alla professionalizzazione degli esordienti e all’affinamento delle competenze di chi è già del mestiere, tanto è vero che il fondo tedesco creato appositamente a questo scopo si chiama Deutscher Übersetzerfonds (DÜF), cioè «Fondo tedesco per i traduttori», e non «per la traduzione». Abbiamo incontrato Jürgen Jakob Becker, vicedirettore del Literarisches Colloquium di Berlino (LCB), che ci ha raccontato la situazione attuale, le tendenze degli ultimi anni e il ruolo del DÜF nella percezione del ruolo dei traduttori per la vita culturale del paese.
L’LCB offre ai traduttori che lavorano da e verso il tedesco uno spettro molto ampio di possibilità formative: borse di studio, soggiorni in case dei traduttori, workshop, seminari… Esistono anche forme di sostegno alla traduzione? Ci sono programmi specificamente dedicati alle case editrici straniere?
Oltre ai ben noti finanziamenti del Goethe Institut esiste il programma «Geisteswissenschaften international» della Fiera del libro di Francoforte, che mette a disposizione finanziamenti per tradurre in inglese saggistica tedesca nell’ambito delle discipline umanistiche e sociali.
C’è poi da ricordare il network Traduki, patrocinato dalla Fondazione S. Fischer, che finanzia case editrici e anche traduttori. La Fondazione S. Fischer sovvenziona inoltre il programma «Schritte»[1] per le traduzioni di opere letterarie tedesche in polacco, russo e turco.
Anche il Goethe Institut, comunque, offre borse di studio ai traduttori di letteratura tedesca, con soggiorni a Dresda e nello Schleswig-Holstein.
Legato al Goethe Institut è pure il programma Litrix. Anche in questo caso vengono finanziate traduzioni verso determinate lingue (attualmente il russo) e, in casi particolari, anche i traduttori.
Infine vanno ricordati i premi destinati ai traduttori, generalmente in collaborazione con il ministero degli Esteri tedesco e il Goethe Institut: il Premio italo-tedesco per la traduzione, quello turco-tedesco, quello arabo-tedesco.
Se dovessi provare a fornire una visione d’insieme, in quale rapporto sarebbero il sostegno alla traduzione verso il tedesco e il sostegno alla traduzione dal tedesco verso altre lingue? Quale delle due direzioni è più importante? Potresti fornirci qualche cifra o descrivere le tendenze degli ultimi anni?

C’è una prima distinzione importante da fare, quella tra i finanziamenti destinati alla traduzione e quelli destinati ai traduttori.
Un sostegno alle traduzioni dal tedesco (cioè per editori stranieri che desiderino pubblicare la nostra letteratura) esiste da tempo. Il Goethe Institut stanzia ogni anno diverse centinaia di migliaia di Euro a questo scopo.
Il sostegno ai traduttori che lavorano dal tedesco verso altre lingue è cresciuto negli ultimi anni grazie alle iniziative, tra gli altri, dell’LCB, della Fondazione Robert Bosch e della Fondazione S. Fischer. In questo ambito la tendenza è senz’altro in crescita.
Il traduttore viene ormai considerato un artista e un mediatore culturale, e in questo senso la sua figura è presa molto più sul serio rispetto al passato. Guardando per esempio ai singoli filoni del programma «Literarische Brückenbauer» della Fondazione Robert Bosch, i progetti si rivolgono quasi sempre ai traduttori, e quasi mai alle case editrici, che si tratti di formazione, networking o borse di studio. Difficile dire quanti soldi vengano stanziati: credo siano un po’ meno di quelli destinati alle case editrici. Penso – ma è una valutazione molto grossolana, da non prendere troppo sul serio – che siamo intorno ai 300.000 Euro l’anno.
Nell’altra direzione: in Germania le case editrici usufruiscono, da parte tedesca, di pochi finanziamenti. Da citare è però il programma Litprom, attivo da oltre trent’anni, che incentiva la traduzione di opere provenienti da Asia, Africa e America Latina. I fondi provengono dal nostro ministero degli Esteri. L’LCB aveva un programma analogo, rivolto alle letterature dell’Europa centrale e orientale e finanziato dal ministero degli Esteri e da Pro Helvetia, che si è concluso nel 2009. Ormai, infatti, paesi come la Polonia o la Slovenia hanno opportunità di finanziamento proprie, e poi c’è il programma di sostegno alla traduzione dell’UE.[2] In generale, comunque, i finanziamenti da parte tedesca alle traduzioni verso il tedesco sono in calo.
Del sostegno ai traduttori che lavorano verso il tedesco, invece, si occupa il Fondo tedesco per i traduttori (Deutscher Übersetzerfonds, DÜF). Il budget è cresciuto nel tempo: si è partiti nel 1997 con 50.000 Marchi l’anno; ora siamo a 650.000 Euro. La nostra ambizione consiste nel raggiungere il milione di Euro. Circa la metà di questi denari è investita in borse di studio, una buona parte va a finanziare la formazione (seminari, laboratori, ViceVersa, la Schlegel-Gastprofessur ecc.). Il Fondo è finanziato dallo stato federale, ed è importantissimo che esista: questa istituzione, infatti, costituisce un punto di riferimento per il sostegno alla traduzione, che così trova più facilmente interlocutori a livello politico e nella vita pubblica. È più semplice far partire progetti e iniziative, ormai anche a livello internazionale. Anche per l’Italia la nascita di un Fondo del genere sarebbe una benedizione!
Al di là del DÜF, ci sono i progetti della Fondazione Robert Bosch e le borse di studio finanziate da singoli Länder (non molto numerose, ma comunque ce ne sono).
Per quanto riguarda i finanziamenti ai traduttori, la tendenza generale è in crescita.

Quanti traduttori finanzia l’LCB ogni anno? Quali criteri si adottano per decidere se concedere una borsa di studio o altre sovvenzioni? Che ruolo hanno fattori come l’opera da tradurre, l’esperienza del traduttore, la casa editrice, le condizioni di contratto ecc.?
Il DÜF assegna circa 80-90 borse di studio all’anno. Quando i traduttori verso il tedesco fanno domanda, di norma devono avere un progetto a cui stanno già lavorando. La procedura è regolata sin nei dettagli. La giuria del DÜF si riunisce due volte l’anno e discute un centinaio di domande. I cinque membri della giuria sono specialisti con esperienze di traduzione. Le loro competenze linguistiche dovrebbero essere complementari, le conoscenze dai vari ambiti della scrittura e della mediazione letteraria costituire uno spettro ampio.
Il criterio principale, nel giudicare una traduzione letteraria, è che la forma del testo tedesco sia organizzata in modo linguisticamente convincente. Il testo di partenza va non solo decifrato, ma occorre saperne offrire un equivalente formulato con grande padronanza della lingua di arrivo. In questo senso bisogna sfruttare gli spazi e le possibilità della lingua tedesca, o addirittura ampliarli, per rendere giustizia alla voce dell’originale. Nella valutazione, chiaramente, ha un ruolo anche la capacità di affrontare e risolvere la problematica dei generi che il testo, di volta in volta, pone. La resa «leggera» di un romanzo americano di consumo è segno di riuscita e di qualità della traduzione, mentre un esperimento linguistico che resti bloccato «tra le lingue» può anche essere un fallimento. La giuria si rifà esclusivamente a criteri qualitativi. E naturalmente deve porsi queste questioni anche quando si trova a considerare traduzioni da lingue che nessuno dei suoi membri conosce. Le nostre esperienze mostrano che, se affrontate seriamente, anche queste valutazioni sono possibili.
Spesso l’esperienza del traduttore fa la differenza, dal punto di vista qualitativo. Tuttavia, incoraggiamo a partecipare alle selezioni anche i principianti; ci sono anzi progetti pensati specificamente per loro, come il programma Hieronymus, in cui un mentore esperto affianca un traduttore alle prime armi.
Anche le condizioni di contratto hanno un ruolo: in assenza di motivazioni plausibili, esse non devono differire da quelle usuali sul mercato. Questa regola generale impedisce che le borse di studio vengano sfruttate indebitamente dagli editori: il Deutscher Übersetzerfonds non sostituisce i compensi al ribasso delle case editrici né le sovvenziona per vie traverse. Le borse sono un’entrata supplementare per i traduttori, servono a migliorarne le condizioni di lavoro e, naturalmente, a migliorare la qualità delle loro traduzioni.
Quando invitiamo traduttori che lavorano dal tedesco verso altre lingue, facciamo particolare attenzione alle loro pubblicazioni. Verso quale lingua/letteratura traducono, quali preferenze o interessi particolari hanno, a quali condizioni di lavoro e di mercato sono sottoposti? In quale misura, per esempio, un soggiorno a Berlino per la Sommerakademie potrebbe essere loro utile? Noi vogliamo dare nuovi impulsi, informare sulle ultime tendenze, ma anche motivare e premiare l’impegno di tanti anni. Tra Sommerakademie e Internationales Übersetzertreffen[3] invitiamo ogni anno una cinquantina di traduttori, a cui si aggiungono i circa 15 con una borsa per un soggiorno di studio (un mese all’LCB, grazie ai programmi della Fondazione S. Fischer e della Fondazione Robert Bosch).
Se capisco bene, l’LCB è finanziato, in parte, dal Land di Berlino (e in parte si finanzia autonomamente). Che ruolo hanno il ministero degli Esteri, il Goethe Institut e le fondazioni (Robert Bosch, S. Fischer)?
Il Land di Berlino è il finanziatore istituzionale dell’LCB e ne assicura il funzionamento di base. La sede e il terreno su cui sorge sono pure di proprietà di Berlino. Gli altri enti finanziano solo singoli programmi o progetti.
Queste domande sono legate all’intenzione, o alla speranza, di far partire programmi analoghi anche in Italia. Cosa, in generale, ti sentiresti di consigliare o di sconsigliare? Quali sono, in base alla tua esperienza, i punti di forza e di debolezza dei vari programmi?
Be’, in Germania esiste una lunga tradizione di sostegno economico alla cultura, specie a livello locale e regionale. Nel corso degli anni si è creata un’infrastruttura piuttosto consistente (case della letteratura, Deutscher Literaturfonds, festival letterari, fiere del libro…). Forse dovremmo fare un passo indietro, tornando agli anni Novanta, quando i traduttori, pur essendo molto importanti, godevano di scarsissima considerazione. Nel 1995 organizzammo una conferenza dal titolo «Neue Wege der Übersetzerförderung» («Nuove strade del sostegno ai traduttori») a cui parteciparono rappresentanti delle istituzioni e della cultura, a livello politico e amministrativo. In questo modo il tema fu messo sul tappeto. In ogni caso, la nostra intenzione è sempre stata quella di ottenere finanziamenti pubblici, per far sì che lo stato riconosca l’importanza dei traduttori per la vita culturale del paese e per la lingua tedesca stessa. Tanto per fare un controesempio, Looren[4] è, invece, frutto dell’iniziativa di una fondazione privata, che riceve finanziamenti ulteriori dallo stato per singoli progetti. In Svizzera, quindi, le cose stanno in modo un po’ diverso, in Italia… non lo so di preciso.
Jürgen Jakob Becker è vicedirettore dell’LCB. Si occupa del programma letterario e cura in particolare l’ambito del sostegno ai traduttori. È anche direttore del DÜF. Il Literarisches Colloquium di Berlino è un’associazione di pubblica utilità che gestisce programmi a sostegno di autori e traduttori; fondata nel 1963 a Berlino Ovest, è sede di eventi e manifestazioni culturali. Proprio nel Literarisches Colloquium è nato, nel 1997, il Deutscher Übersetzerfonds.
Link utili:
Per questo programma la fondazione Fritz Thyssen, la VG Wort, il Börsenverein des Deutschen Buchhandels e il ministero degli Esteri tedesco stanziano circa 600.000 Euro all’anno.
Traduki non riguarda direttamente l’Italia, giacché lavora da, verso e tra le lingue dell’Europa sudorientale e il tedesco, ma adotta un metodo di finanziamento interessante: la casa editrice fa domanda alla Fondazione S. Fischer che, se l’accoglie, copre per intero i costi di diritti e traduzione. Da notare è che il contratto di traduzione viene stipulato direttamente fra il traduttore e Traduki, senza l’intermediazione della casa editrice.
 Soggiorni e borse di studio del Goethe Institut.

[1] Il programma offre ai traduttori un soggiorno di un mese presso il Literarisches Colloquium e una borsa di studio di 2.000 Euro. (NdR)
[2] Programma che si è concluso nel 2013. (NdR)
[3] Sommerakademie e Internationales Übersetzertreffen sono due degli eventi organizzati dall’LCB per i traduttori di letteratura (e saggistica) di lingua tedesca. (NdR)
[4] La Casa dei traduttori Looren (Svizzera) stanzia finanziamenti per soggiorni di vario tipo nella propria residenza e finanzia seminari e workshop. (NdR)