HER VS LEI, QUANDO IL DOPPIAGGIO FA MALE
Her vs Lei: il bel film di Spike Jonze, con i protagonisti Scarlett Johansson e Joaquin Phoenix, è stato snaturato da un discutibile doppiaggio. Ecco come
Si dice che durante la sessione di doppiaggio de Heat – La sfida Ferruccio Amendola si fosse arrabbiato con il direttore della versione italiana perché non gli lasciò prestare la voce sia a Robert De Niro che ad Al Pacino, due attori che prima di allora aveva sempre interpretato. “Ma se ne accorgeranno che sei sempre tu!”, avrà protestato il direttore del doppiaggio. “Macché”, avrà risposto Ferruccio, “le faccio diverse”. Questo per dirvi chi erano i doppiatori italiani: quelli che, durante una discussione con qualche amico straniero, potevi sempre tirare in ballo per elencare l’ennesima, sicura eccellenza nostrana. E quelli che oggi, purtroppo, stanno lentamente scomparendo. Non lo diciamo noi, ma i fatti: la richiesta di film in lingua originale sta aumentando, spesso e volentieri per ridoppiare attori vengono chiamati personaggi dello spettacolo (che non sono né attori, né professionisti della voce) e le major, ovvero le potenti produzioni americane, sono sempre più libere, da contratto, nello scegliere le voci dei loro interpreti.
Non faremo di ogni film doppiato male un caso, piuttosto affronteremo l’argomento parlando di una pellicola in particolare, uscita al cinema proprio in questi giorni, vincitrice di un Oscar (per la Miglior Sceneggiatura) e diretta da uno dei registi più visionari degli ultimi vent’anni. Stiamo parlando di Her, italianizzato Lei, film di Spike Jonze, che in Italia, com’è già successo per Django Unchained e per The Wolf of Wall Street, è stato distribuito anche in originale (65 copie, circa un terzo del totale). La giustificazione che tantissimi – giornalisti, spettatori, cinefili e addetti ai lavori – hanno usato è: c’è Scarlett Johansson e la gente vuole sentire la sua voce. Forse, in minima parte e in modo del tutto marginale, è così: è per sentire la voce della donna che ha vinto anche il premio di Miglior Attrice all’ultimo Festival di Roma per questo ruolo che Lei è stato proiettato anche in inglese, con sottotitoli in italiano. È poi anche vero che la pubblicità eccessiva di chi l’avrebbe sostituita ha ottenuto l’effetto contrario a quello sperato: Micaela Ramazzotti, scelta come voce italiana dell’OS Samantha, non è una doppiatrice e, cosa ancora più importante, non è la doppiatrice “storica” di Scarlett Johansson (ruolo rivestito quasi a turno da Perla Liberatori e da Domitilla D’Amico).
Ci sono anche altre questioni legate al doppiaggio, più grandi e più generali: anche in Italia la lingua originale si sta ritagliando il suo posto al sole. Una volta i doppiatori riuscivano a migliorare il prodotto finale. Il film, grazie a loro, ne guadagnava: in spessore, espressività ed emotività. Oggi questo esercizio è difficile, quasi inarrivabile per le nuove leve. Il film di Spike Jonze è quasi un altro in lingua originale. E il discorso non riguarda solo Samantha o Theodore; riguarda tutti gli attori, tutte le voci. Nel quadro dipinto dal pittore Jonze non c’è spazio per le incertezze. La sceneggiatura, anch’essa firmata dal regista, fa delle scelte precise: si dicono cose precise. E sbagliare anche di poco non è accettabile. I lunghi silenzi, i primi piani assoluti, gli ambienti e le luci, il colore della fotografia, il suo calore, riducono al minimo le battute, rendendole essenziali. E se le sbagli, è la fine.
Ci vuole il giusto tono (sperare di poter ricreare quello di Joaquin Phoenix, uno degli attori più bravi e capaci del panorama contemporaneo, in poco tempo è assurdo); ci vuole la giusta espressività (la sensualità della Johansson è una cosa rara: o ce l’hai o non ce l’hai); e ci vogliono le giuste pause. Che come nella musica sono fondamentali, più importanti ancora dei suoni delle parole. In Her versione italiana un po’ di tutto questo manca. E ve ne accorgerete anche se non avrete visto prima Her in lingua originale: vi aspetterete nella voce di Samantha/Ramazzotti un mormorio che non ci sarà; nella voce di Theodore un’esitazione che mancherà; e in quella degli altri interpreti una complicità essenziale, quasi spontanea, che puntualmente (purtroppo) mancherà. Il doppiaggio non sarà finito: ci sono ancora grandi, grandissimi doppiatori in giro e certamente non sta a noi farne i nomi. Ma la versione originale ha vinto la battaglia, almeno questa.