Lavoro intellettuale in Italia: la sfortuna di nascere traduttore
Lavoro intellettuale in Italia: la sfortuna di nascere traduttore
Scrittori fantasma: si pensa subito a chi scrive al posto di chi firma. Un esempio sempre attuale è quello di chi fa le tesi per studenti svogliati. Uno diceva fiero, proponendosi, ho già preso sei volte il massimo dei voti! In genere sono pagati abbastanza bene, e comunque il compenso è oggetto di una libera trattativa.
Altri scrittori fantasma sono quelli che scrivono i discorsi dei politici. Come il Nanni Moretti de Il portaborse, film che fece molto adirare i politici. I suoi servigi erano ben retribuiti: una spider in dono, l’aiutino per il trasferimento della fidanzata dalla sede disagiata: insomma, soldi e fringe benefits.
Poi ci sono i traduttori, “liberi professionisti” che prestano i loro servigi per le case editrici che acquistano libri di autori stranieri: talvolta si tratta di ottimi scrittori: famose le traduzioni di Pavese, di Natalia Ginzburg. Oggi penso a Pino Cacucci.
Talvolta neppure compariva il loro nome, e la loro opera era ed è retribuita un tanto a cartella, un po’ di più per quelli molto bravi, poco o pochissimo per gli altri. Eppure il loro ruolo è fondamentale: devono entrare nella pelle di un autore, lottare contro le barriere linguistiche e le peculiarità di una lingua, rendere non solo fedelmente il contenuto, ma anche il ritmo, i tic, le accelerazioni e le curve di un linguaggio, in una parole lo stile. E lo stile, dice Flaubert, è tutto. Questo è molto più difficile che sapere una lingua, è un lavoro affine a quello del direttore d’orchestra. Il traduttore se ne sta lì nascosto dietro una siepe di parole altrui, da cui si affaccia raramente, con una minuscola bandierina su cui è scritto n.d.t., nota del traduttore, quasi sempre per spiegarsi, per giustificare una qualche impossibilità a rendere un gioco di parole, un oscuro proverbio croato, un concetto che da noi non c’è.
Occorre una miscela di dedizione, pignoleria, funambolismo e grande cultura: una traduttrice tra le più quotate, Ilide Carmignani, premio Cervantes per le traduzioni dallo spagnolo, insisteva a dirmi che lei non è una scrittrice, avendo tradotto settanta libri degli autori più diversi.
Come se Pollini pretendesse di non avere nulla a che fare con quelle esecuzioni dei notturni di Chopin. Sarà per questo che gli editori, impegnati a far quadrare i conti, pagano a cottimo questi scrittori e non riconoscono loro una percentuale sui diritti d’autore. E magati affidano le traduzioni a studenti madrelingua inesperti, come bastasse essere inglese per tradurre autori complessi.
In Italia, ottenuto il riconoscimento a una paternità o maternità adottiva del libro, non si ha però diritto a una percentuale, anche minima dei diritti d’autore, quel gratta e vinci che fa sperare in un bestseller. Non così all’estero: il traduttore inglese de Il nome della rosa, si rallegrava del successo del libro nella sua villa in Costa Azzurra, acquistata grazie ai diritti.
Specialmente se l’autore conosce la lingua in cui è tradotto, si crea con chi traduce una rapporto pieno di sfumature, e anche di ambivalenze, mai banale. Ci sono dinamiche relazionali da leggere con categorie psicologiche e psicoanalitiche, ma questo è un discorso che merita spazi di riflessione adeguati. L’autore che si fida del traduttore ha con lui o lei un rapporto di amicizia, di complicità e di non confessata dipendenza: Sepulveda non concepirebbe che a tradurlo fosse altri che Ilide Carmignani. Non conosco il tedesco, ma il rapporto lavorativo con Susanne van Volzmen ,la traduttrice di Viaggiare e non partire è stato comunque molto intenso, perché mi chiedeva conto di mille cose che davo per scontate, mostrandomi la cura che metteva nel suo lavoro. Alla fine ho voluto conoscerla e sono andato a Francoforte per invitarla a pranzo e mostrarle simbolicamente il mio apprezzamento.
La voce italiana di Pennac, Yasmina Melaouah, viene pagata in parte di tasca sua da Pennac, scandalizzato dal fatto che non riceva una percentuale per quanto piccola dei diritti d’autore. Che io sappia è un’eccezione, e qualcuno potrebbe obiettare che è giusto cercare di cambiare le cose per tutti.
Parliamo dei diritti negati di poche persone. Ma questo rientra nel quadro più ampio della svalutazione del lavoro intellettuale : insegnanti, attori di teatro e tanti altri.
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