| No comment yet

Lavoro intermittente per interpreti a traduttori no dal Ministero

Lavoro intermittente per interpreti a traduttori no dal Ministero

Interpello al Ministero del lavoro n. 31 2013 sull'utilizzo del contratto di lavoro intermittente presso scuole di lingue straniere

La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 31 del 19 novembre 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito al possibile utilizzo della tipologia contrattuale del lavoro intermittente in relazione alle figure dell’interprete e del traduttore che espletano la propria attività presso scuole o istituti di lingua.
La Direzione succitata ha risposto affermando che non sembra possibile operare una equiparazione della figura dell’interprete/traduttore impiegato presso scuole o istituti di lingua a quella di cui al n. 38 della tabella allegata al D.M. 2657/1923. Resta ferma la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro di natura intermittente anche in tali ambiti,  laddove il lavoratore sia in possesso dei requisiti anagrafici di cui all’art. 34 del D.Lgs. 276/2003 o qualora sia previsto dalla disciplina collettiva di settore.
| No comment yet

Tradurre opere a fumetti straniere

Immaginate di essere un editore di opere a fumetti e immaginate di aver individuato un’opera straniera, magari un fumetto giapponese o americano, che sta avendo grande successo sul pubblico estero. Immaginate ora di voler acquisire i diritti per l’edizione italiana e di dover strutturare una negoziazione per ottenere la cessione in esclusiva dei diritti di sfruttamento economico e dunque l’autorizzazione alla traduzione dell’opera stessa che porta con sé sempre comunque una rielaborazione dell’opera.


Prima di procedere con la negoziazione dei diritti con l’autore o con l’editore straniero che li detiene (in forza dell’accordo con l’autore), occorre analizzare il mercato e il suo pubblico e studiare come l’opera dovrà essere trasformata e riadattata per accontentare i gusti del pubblico italiano. Tutto questo permette di capire come già l’operazione di traduzione di un’opera a fumetti sia particolarmente complessa: non si tratta della semplice traslazione del testo nella lingua di destinazione, ma si tratta di mettere a punto un vero e proprio piano di rielaborazione che, in ogni caso, non deve stravolgere l’opera originale.

Quindi la traduzione di un’opera straniera è un’operazione particolarmente delicata che richiede modifiche e rielaborazioni, a volte forti, che comunque devono salvaguardare il messaggio e il senso dell’opera originale.

Pensate ad esempio ai nomi dei personaggi. Il termine usato per denominare un personaggio in un fumetto giapponese potrebbe avere un significato differente nella nostra lingua o il suo suono potrebbe non avere il medesimo effetto sul pubblico di destinazione o ancora risultare difficilmente pronunciabile per il grande pubblico, pertanto occorrerebbe analizzare il carattere degli stessi personaggi, le loro fattezze fisiche e le loro vicende, in modo da usare dei nomi adatti che, se pur non rispecchiano la traduzione letterale nella nostra lingua, ad ogni modo, non alterano il messaggio insito in quel personaggio. L’esempio più classico, in questo senso, è Popeye. La traduzione letterale del termine è “occhio sporgente”, meglio, ovviamente è stato tradurlo con Braccio di Ferro. Questo vale anche per il linguaggio usato nei ballons, a volte, è preferibile ad esempio in un dialogo, far dire ad un personaggio qualcosa di diverso rispetto alla traduzione letterale della conversazione stessa o del commento, come è stato per Dragon Ball e la sua caratteristica “Onda Energetica”che in originale era “Kame Hame Ha!”

Come, a volte, è consigliabile usare il medesimo titolo senza tradurlo. Pensate se “Sin
City” fosse stato tradotto in “Città del Peccato”. Avrebbe avuto lo stesso effetto?

Da tutto questo è facile comprendere che quando un editore deve stilare un contratto di edizione e traduzione con la casa editrice straniera o direttamente con l’autore deve necessariamente offrire, soprattutto se si tratta di un’opera forte sul mercato straniero, per la quale si dovranno negoziare successivamente anche diritti d’autore secondari (come la trasformazione in film di animazione o in videogame o l’uso dei personaggi come merchandising), delle garanzie a tutela della veste che l’opera dovrà assumere prima della pubblicazione e delle garanzie specifiche che salvaguardino i personaggi e il loro carattere, come anche il messaggio che l’autore straniero ha inteso comunicare attraverso i suoi personaggi.

Non è raro che l’autore o l’editore straniero inseriscano nei contratti la necessità di essere informati, prima della pubblicazione dell’opera, sui termini usati e sul significato attribuito ai nomi dei personaggi ed eventualmente sul titolo dato all’opera tradotta ed edita, così da riservarsi una sorta di collaudo prima della distribuzione dell’opera stessa. Alcuni editori o autori stranieri chiedono, ad esempio, di inserire nei contratti l’impegno a mantenere un preciso stile grafico nella disposizione delle tavole o nei formati di pubblicazione. Ad esempio, alcuni autori di fumetto giapponese chiedono che non venga modificato il senso di lettura, ritenendo il ribaltamento delle tavole, una vera e propria perdita dell’ autenticità delle opere.

Particolare attenzione viene data anche alle clausole riguardanti le modalità di distribuzione e i canali distributivi utilizzati, come anche quelli utili alla diffusione dell’opera nella versione tradotta.

Occorre, pertanto, stabilire attentamente ogni passo che si dovrà compiere e soprattutto specificare precisamente, dettagliandoli esplicitamente, quali diritti di sfruttamento si intende ottenere mediante il contratto, quali responsabilità in caso di violazione degli obblighi contrattuali, quale compenso per la cessione (o quali royalties per una licenza) e quale sarà la legge applicabile ad eventuali controversie che dovessero sorgere dall’interpretazione e dall’ esecuzione dell’accordo, oltre a prevedere una clausola compromissoria (Risoluzione delle controversie mediante arbitrato) che accelera la risoluzione delle controversie e risulta  particolarmente utile nei rapporti contrattuali con parti internazionali.

Annalisa Spedicato
| No comment yet

THE WORD OF THE YEAR IS…

THE WORD OF THE YEAR IS…


Hold on to your monocles, friends—the Oxford Dictionaries Word of the Year for 2013 is “selfie.” It’s an informal noun (plural: selfies) defined as “a photograph that one has taken of oneself, typically one taken with a smartphone or webcam and uploaded to a social media website.” It was first used in 2002, in an Australian online forum (compare the Australian diminutives “barbie” for barbecue and “firie” for firefighter), and it first appeared as a hashtag, #selfie, on Flickr, in 2004. Now, before you go tweeting about the demise of the English language, let me kindly remind you that the Oxford Dictionary Online is not the same thing as the Oxford English Dictionary. The O.D.O. reflects current and practical usage; it’s the liberal and inclusive descriptivist dictionary, and is frequently updated. It demonstrates the language as it’s being used today, much like Joe Toscano’s Twitter bot, @tofu_product, imitates your Twitter voice by using an algorithm that reads your most recent two hundred or so tweets (“Tofu absorbs flavor. I write like you do,” reads its bio). The O.E.D., on the other hand, is a historical document that relies heavily on quotations and chronology as evidence for the development of meaning over time. Words can be removed from the O.D.O. after they stopped being used, but words are never (really) removed from the O.E.D.

Selfies are everywhere these days. They feature prominently in Sofia Coppola’s “The Bling Ring” as a cinematic trope—the main characters take dozens of pictures of themselves partying at Hollywood clubs and wearing pilfered designer clothing and upload them to Facebook. The Mars Rover has taken a selfie. The Pope appeared in a selfie taken by some Italian youngsters inside St. Peter’s Basilica (but I would argue this doesn’t exactly count as a Papal selfie—His Holiness is very clearly not the one holding the camera phone). Kim Kardashian is the premier selfie artist of our time, and Instagram is her showroom. Her most infamous selfie to date is a revealing post-baby shot of her in a dressing room wearing a white bathing suit, simply captioned “#NoFilter,” to which Kanye West then responded, via Twitter, “HEADING HOME NOW.” Kim’s sister Khloe recently gave a radio interview in which she divulged Kim’s supposed secrets, saying, “Flash is our friend,” and offering a tip to shoot from above to avoid double chins. But selfies aren’t just for the young. This summer Geraldo Rivera tweeted a photo of himself in nothing but a towel, proclaiming “70 is the new 50” (citing tequila, he later deleted the image, and tweeted, “Note to self: no tweeting after 1am”). Even The New Yorker has participated in making “selfie” happen: a cartoon by Corey Pandolph in this week’s Tech Issue depicts a woman sitting for a street artist, whom she instructs, “Make it look like a selfie.”

Strictly speaking, the modern-day selfie is a digital affair, but it’s a novel iteration of an old form: the self-portrait (a friend on Twitter joked, “was Lascaux the first selfie?”). As Kate Losse points out in her excellent primer, a notable point of inflection in the selfie’s recent meteoric rise was the addition of a front-facing camera to the iPhone 4. A selfie doesn’t even have to be of one’s face; my colleague Emily Greenhouse described Anthony Weiner as “a distributor of below-the-waist selfies.” Jack Dorsey, arguably the pioneer of the mass-distributed selfie, also introduced us to selfie Vines, six-second videos shareable on Twitter. Indeed, the selfie is nothing if not a visual shorthand for Dorsey’s initial vision for Twitter as a status updater—“here’s where I am, here’s what I’m doing.” Sometimes, a selfie of what you’re doing can be downright dangerous. A recent AAA report about the dangers of distracted driving warned against a new trend of taking selfies while driving and uploading them to Twitter and Instagram using the hashtags like #drivingselfie and #rainx. John B. Townsend II, a spokesperson for AAA, is quoted as saying, “Don’t let that driving selfie or video be the last photo you ever take.”

There was a media kerfuffle back in August when the Oxford Dictionaries announced the addition of “selfie” to its corpus, along with “twerk,” “vom,” “phablet,” and a slew of other words that appear to have been lifted from alphabet soup. The news was delivered in a cutesy blog post, titled “Buzzworthy words added to Oxford Dictionaries Online—squee!” in which the editors took pains to cleverly present each word in context. More than anything, this reflects self-awareness and knowledge of their audience. The Oxford Dictionaries’ fluency with the Web is increasingly apparent—they now release quarterly updates, and the ensuing media flurry is no accident. It is telling that their Word of the Year for 2013 was announced before Thanksgiving, rather than say, in December or even January, when Merriam-Webster and the American Dialect Society respectively announce their top words. There are as many words of the year as there are dictionary outlets. Katherine Martin, the head of U.S. dictionaries at Oxford, told me in an e-mail, “the concept of a Word of the Year is inherently subjective: we analyze frequency and historical evidence, but our real goal is to identify an emerging word that embodies the zeitgeist of the year, and that is the driving force behind the choice.”

The word “selfie” is not yet in the O.E.D., but it is currently being considered for future inclusion; whether the word makes it into the history books is truly for the teens to decide. As Ben Zimmer wrote at Language Log, “Youth slang is the obvious source for much of our lexical innovation, like it or not.” And despite its cloying tone, that Oxford Dictionaries blog post from August does allude to the increasingly important distinction between “acronym“ and “initialism”—either of which may describe the expression “LOL,” depending if you pronounce it “lawl” or “ell-oh-ell.” The kids are going to be all right. Not “alright.” But all right.

| No comment yet

Writing Systems Of The World


| No comment yet

I Simpson, Massimo Lopez sarà la voce di Homer: video dei provini

È Massimo Lopez la nuova voce italiana di Homer, il mitico capofamiglia della serie I Simpson, qui il video dei provini di Lopez con Homer doppiato dall'attore italiano. La voce (è proprio il caso di dirlo) su Lopez doppiatore di Homer circolava da un po' ma non era stata ancora confermata, oggi 21 novembre, è arrivata il comunicato ufficiale di Mediaset che dà per certa la notizia. La rete italiana ha preso la decisione in accordo con la 20th Century Fox la major statunitense che distribuisce lo show nel mondo.

È un cambio epocale per il doppiaggio italiano e per una delle serie più longeve di sempre. La sostituzione è stata necessaria dopo la scomparsa di Tonino Accolla nel luglio scorso che per più di 20 stagioni e  23 anni è stato l'inconfondibile voce di Homer (nella versione originale doppiato da Dan Castellaneta). «I miticooo!» e i «Doh!» di Accolla rimarrano sempre nella memoria dei tanti spettatori della sitcom, ora si cambia pagina con un attore, Massimo Lopez, dal grande talento vocale. Originario delle Marche, Lopez è divenuto celebre grazie al famoso Trio con Tullio Solenghi e Anna Marchesini. In passato è stata la voce italiana di Bruce Lee in L'ultima sfida di Bruce Lee e quella di Robin Williams in Braccio di Ferro. Per Lo Hobbit - La desolazione di Smaug, dal 12 dicembre al cinema, doppierà Stephen Fry. Nei cartoni ha lavorato sempre come doppiatore anche in un'altra celebre fiction, Futurama. Qui il video dei suoi provini come voce di Homer: che ne pensate?