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Le traduzioni barbariche

Le traduzioni barbariche

"A welcome sign, including various translations of the word "Welcome," hangs in the student center foyer Friday. Many translations of the word in Middle Eastern languages on various banners were covered with black paint by maintenance crews after they were found to be misspelled"


Con il sopraggiungere delle grandi fiere internazionali di settore, torna a riproporsi l’annoso problema della produzione dei materiali di comunicazione in lingua straniera.

La premessa non vuole affatto dare la stura all’usuale piagnisteo sulla scarsa confidenza di noi italiani con gli altrui idiomi, bensì segnalare la leggerezza con cui alcuni potenziali stakeholder stranieri reputano di poter entrare in contatto con l’italico popolo degli operatori del settore semplicemente affidandosi ai traduttori online.

“Volevamo avertirvi che XXX sara presente all borsa del turismo”, oppure “Vi invitiamo sull nosto stand” sono solo alcuni esempi – assolutamente reali, lo garantisco – degli infelici messaggi di invito piovuti nelle caselle di posta di noi addetti ai lavori in questi giorni. 
Il fatto ancora più incredibile è che con altrettanta sguaiata disinvoltura spesso si proceda alla preparazione di dépliant, cataloghi, comunicati stampa e siti web che di italiano hanno soltanto in bella vista l’illusoria icona del nostro tricolore. 

Pertanto: allo sterminato popolo di stranieri che – legittimamente – ci chiede da anni un maggiore impegno nell’apprendimento delle loro lingue, credo sia giunta l’ora di domandare almeno pari serietà ed accortezza nel maneggiare la nostra. 
I poeti che nell’antichità traducevano dal greco definivano questa operazione “vortere barbare”: cioè volgere dalla nobile lingua ellenica al barbaro latino. E vi si dedicavano con grande attenzione e rispetto. Ma, soprattutto, con una competenza che oggi - a dispetto delle valanghe di libri, di corsi e master universitari in marketing e comunicazione - qualcuno continua a relegare con imperdonabile tracotanza ai traduttori virtuali del web.

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Quesito in merito alla traduzione in lingua inglese della locuzione Organismi indipendenti di valutazione (OIV)

Quesito in merito alla traduzione in lingua inglese della locuzione Organismi indipendenti di valutazione (OIV)


E’ stato richiesto alla Commissione di esprimersi in merito alla traduzione in lingua inglese della locuzione Organismi indipendenti di valutazione (OIV), considerato che alcune amministrazioni sono dotate di un sito istituzionale anche in lingua inglese.
 Risposta
La Commissione è dell’avviso che la locuzione in questione possa essere tradotta con la seguente: Performance evaluation unit.

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Il codice segreto dei vichinghi? Dice "baciami"

Il codice segreto dei vichinghi? Dice "baciami"

Anche uno dei più grandi popoli conquistatori della storia ha un lato romantico. Decifrato un messaggio d'amore antico di 900 anni

Un messaggio antico di 900 anni, di cui - fino a ora - non si conosceva il significato. A svelare l'arcano celato dietro il messaggio vichingo risalente al XIII secolo è stato il runologo K. Jonas Nordby, dell'Università di Oslo.

Sebbene si tratti solo di una delle 80 incisioni presenti sulla tavola in legno studiata, questa semplice parola in codice jotunvillur va a svelare un tassello di un puzzle molto più complesso. Un tassello svelato non da un professore, ma da un giovane dottorando dell'ateneo di Oslo.

Tramite la traduzione delle rune di Norbdy, scopriamo che uno dei più grandi popoli conquistatori della storia umana, non nascondeva un lato romantico. L'incisione tradotta è una parola, semplice ma forte: "baciami".
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MEDIASET CENSURA 'HOW I MET YOUR MOTHER': NEL DOPPIAGGIO SPARISCE UNA BATTUTA SU BERLUSCONI

MEDIASET CENSURA 'HOW I MET YOUR MOTHER': NEL DOPPIAGGIO SPARISCE UNA BATTUTA SU BERLUSCONI


MILANO - "Ted, l’Italia non ha bisogno di qualcosa che è raggrinzito, rosso, logoro e che puzza di alcool e droghe. Hanno già l’ex primo ministro Silvio Berlusconi". Questa battuta è presente nella versione in lingua originale della serie tv 'How I Met Your Mother' ma, tuttavia, non è stata ascoltata dal pubblico italiano in virtù della censura messa in atto da Mediaset.



Sui nostri canali è infatti stata sentita la frase più generica "L’Italia già ha abbastanza problemi con chi governa il paese", scartando di fatto la traduzione riguardante l'ex premier. I fan della trasmissione se ne sono accorti e hanno lanciato subito il tam tam su twitter, mostrando tutto il loro disdegno.
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La più brava giovane traduttrice d’Italia? È Laura, genovese

La più brava giovane traduttrice d’Italia? È Laura, genovese

Genova - È genovese la vincitrice per l’Italia dell’edizione 2013 del concorso europeo di traduzione “Juvenes translatores”, al quale hanno partecipato 73 scuole italiane, ognuna delle quali poteva candidare da 2 a 5 studenti. Si chiama Laura Barberis, è una bella ragazza castana di quasi 18 anni e frequenta la IV C del Liceo Linguistico Internazionale Grazia Deledda. Che non è nuovo a questi successi, essendosi portato a casa per esempio ben due edizioni del concorso mondiale Chinese Bridge per studenti di cinese, una via di mezzo fra un reality e un esame di lingua, la cui finale si consuma nel Paese del dragone con la votazione dei telespettatori.

«È la prima volta che partecipiamo al concorso, ormai giunto alla sua sesta edizione - spiega la professoressa Rossella Risso, che al Deledda, che è il liceo linguistico più antico e blasonato d’Italia, al quale si accede solo con una media altissima, insegna inglese e ha selezionato i concorrenti insieme al collega Giovanni Vignolo - ed è stata una bellissima sorpresa e una conferma che il fitto programma di progetti e scambi internazionali che la scuola organizza da anni funziona».

Stupita anche la vincitrice: «Davvero non me lo aspettavo, ho preso la partecipazione al concorso come un esercitazione in più e invece l’8 aprile andrò a ritirare il premio a Bruxelles». Ci andrà con la mamma Silvia, perché è ancora minorenne e dovrà essere accompagnata da un adulto, e gli organizzatori stanno preparando per loro e per tutti gli altri vincitori un programma di visite e di festeggiamenti di una settimana, che farà da cornice alla cerimonia di consegna vera e propria. Incontreranno anche il commissario europeo per il multilinguismo.

Ma in cosa consiste il concorso e come ci si prepara? «La partecipazione, quest’anno aperta ai nati nel 1996, è su base volontaria e gli studenti si candidano per tradurre un testo dalla lingua che conoscono meglio all’italiano. Qui al Deledda abbiamo schierato 2 concorrenti che traducevano dallo spagnolo, una dal rumeno, una dal francese e Laura dall’inglese. Il giorno della prova, che si è svolta lo scorso 28 novembre in biblioteca dalle 10 alle 12 del mattino, i testi da tradurre sono arrivati alla scuola via e-mail, noi li abbiamo stampati e consegnati agli studenti, che erano autorizzati a usare il vocabolario ma solo in versione cartacea, nessun dispositivo elettronico era ammesso. Una volta concluso l’esame, abbiamo chiuso gli elaborati in una busta e li abbiamo immediatamente mandati a Roma via corriere».

Due ore per una traduzione di tre facciate circa, per esercitarsi la direzione generale della traduzione della Commissione Europea aveva diffuso sul suo sito le prove degli anni precedenti - e oggi sono arrivate anche quelle dell’ultima edizione, con tanto di selezionati. I vincitori sono uno per Paese membro, ciascuno dei quali ha chiamato all’appello tante scuole quanti sono i seggi che detiene a Bruxelles, quindi 73 per l’Italia e lo stesso numero per il regno Unito, poi per esempio 96 per la Germania, 74 per la Francia e 54 per la Spagna. Alla conoscenza delle lingue l’Europa dà grande importanza, arrivando a sostenere che nei prossimi 20 anni i nuovi analfabeti saranno coloro che sapranno esprimersi solo nella lingua d’origine. «Mi sono subito rilassata quando ho visto il testo - spiega Barberis, che quindi a Bruxelles rappresenterà il Belpaese e dopo il diploma vorrebbe continuare a studiare a Genova e laurearsi proprio in mediazione interlinguistica - perché era in lingua colloquiale, mi ero esercitata su prove in linguaggio formale che sono molto più difficili». Emozionata? «Moltissimo, e anche mia madre, che è orgogliosissima, anche lei è sempre stata portata per le lingue, chissà se è un fattore genetico?» aggiunge Barberis.

Di certo il talento naturale al Deledda viene coltivato. «Partecipiamo volentieri a tutti i progetti innovativi - conclude il preside, Fabio Mosaner, già docente di matematica e fisica nello stesso istituto e a lungo vicepreside - ma voglio sottolineare che i meriti vanno tutti agli studenti che hanno successo».
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I traduttori, questi invisibili

I traduttori, questi invisibili
Paghe misere, ritmi di lavoro stressanti e nessuna tutela. Il ritratto impietoso del traduttore italiano cui recentemente ha dato un importante contributo di analisi e dati una ricerca realizzata dall’Ires Cgil dell’Emilia Romagna DI SARA PICARDO
 di Sara Picardo


Mal pagato, poco riconosciuto e plurititolato, con tanta passione per le parole e poca speranza per il futuro. Questo il ritratto impietoso del traduttore italiano cui recentemente ha dato un importante contributo di analisi e dati una ricerca realizzata dall’Ires Cgil dell’Emilia Romagna (Dalla parte dei traduttori) in collaborazione con Slc Cgil e Strade, il giovane sindacato dei traduttori. Un nome, Strade, scelto non casualmente: fotografa in pieno, infatti, il lavoro dei propri iscritti: percorrere quotidianamente le possibili “strade” che la traduzione di un testo può imboccare, scegliendo quella più adatta al messaggio che veicola e al suo intento. Non senza difficoltà però: non solo di tipo lessicale o letterario, ma anche contrattuali ed economiche.


Anche per questo a gennaio del 2012 il neonato sindacato ha siglato un protocollo di intesa con l’Slc Cgil, il sindacato dei lavoratori della comunicazione, dalla cui collaborazione è nata la ricerca citata. Alcuni dati, tra tutti: il 55% dei traduttori ha meno di 39 anni e quasi il 60% guadagna meno di 15 mila l’anno. Lordi, of course. Le donne superano l’80% e guadagnano in media il 23.9% in meno dei colleghi uomini. Per questo oltre la metà di esse dichiara di svolgere almeno un altro lavoro e, sempre per rimanere nella casistica, ben l’84% non vede prospettive di miglioramento, anche se oltre il 90% ha un titolo superiore alla laurea. Senza parlare dei ritmi di lavoro serrati e della criticità dei contratti: previsioni che non rispettano la legge, casi estremi di cessione definitiva dei diritti d’autore in cambio di un compenso forfettario, finti rapporti di collaborazione occasionale (26%), co.co.pro. (13,5%), collaborazioni con partita Iva. 



“Amo il mio lavoro”
Quello che i dati non dicono, però, lo spiega Florinda Rinaldini, che ha realizzato la ricerca per l’Ires Cgil: “Mi hanno colpito molto le parole dei lavoratori. Tra quelle più usate nei questionari ricorre spesso l’espressione “amo il mio lavoro”, “adoro quello che faccio.” Accanto, però, si manifesta una generale consapevolezza delle scarse sicurezze, garanzie e tutele che lo contraddistinguono. Ricordo quanto scritto da una giovane donna di 31 anni di Catania: ‘Il mio lavoro è anche quello del mio fidanzato. Mi piace molto, ma quello che guadagniamo entrambi (considerando che ci si porta sempre del lavoro a casa e spesso i weekend si passano al computer, notti in bianco comprese) non riesce a giustificare la fatica, la stanchezza fisica, la perdita del tempo libero, la difficoltà di concedersi una vera pausa e l’impossibilità di pensare (soltanto pensare) di poter prendere insieme una casa. Mi piacerebbe che questo lavoro non richiedesse il nostro sacrificio, ma al contrario ci permettesse di diventare grandi con dignità’”.



“Per questo, partendo dalla difficile condizione dei traduttori, che purtroppo non è un caso isolato nel mondo dell’editoria e dell’emittenza, abbiamo stabilito con Strade una convenzione che punta da un lato alla tutela del lavoro e dall’altro a un ragionamento sulle politiche sociali che coinvolga l’insieme delle professionalità direttamente connesse alla qualità del prodotto che, se non tutelate sotto ogni punto di vista (previdenziale, assistenziale ecc.) ed esercitate con costanza, rischiano di perdersi”, spiega Massimo Cestaro, segretario generale Slc Cgil. Molte donne infatti, dopo i 40 anni o alla prima gravidanza, sono costrette ad abbandonare un lavoro in cui hanno investito tanto ma che non consente loro di vivere dignitosamente. “Bisogna sempre tener presente – continua il sindacalista – che qui non parliamo solo di posti di lavoro, ma di una ricchezza diffusa: i libri, i quotidiani, le trasmissioni televisive, sono materiale sensibile, non semplici prodotti, e contribuiscono a formare i capisaldi di un paese democratico. Quando un traduttore abbandona il suo lavoro perché non ce la fa più è come quando chiude un teatro: si perde un mondo intero di cultura e professionalità che difficilmente si produrrà altrove”. 



“Un traduttore, ri-scrivendo un romanzo, un saggio, una poesia o un’opera teatrale, produce un’opera d’ingegno originale soggetta a diritto d’autore, anche se questo non sempre gli viene riconosciuto”, afferma Daniele Petruccioli, traduttore dal portoghese, francese e inglese, amante di filastrocche e giochi di parole, nonché segretario di Strade. Anzi, tanto più il suo lavoro è efficace e ben fatto, tanto meno sembra risaltare agli occhi del lettore e della critica, così pronta invece a sottolineare gli errori. “In soldoni – ci spiega Petruccioli – i traduttori sono un po’ come dei bravi strumentisti. Senza chi suona il pianoforte o il sax, in pochi potrebbero godersi una sonata o una partitura jazz. Lo stesso vale per un testo creativo in lingua straniera: senza chi lo ‘suona’ per noi in italiano, ben pochi potrebbero godersi Moby Dick, L’idiota, Il rosso e il nero o La montagna incantata (anzi, La montagna magica, come ha voluto Renata Colorni, che ha da poco ritradotto questo classico). Stesso discorso vale anche per lo slogan dell’ultimo prodotto che tutti vogliono acquistare perché ‘suona tanto bene’, il saggio che fa gridare il mondo al genio o la biografia del tennista famoso ‘così ben scritta’. In realtà, in ognuno di questi casi citati la lingua ricreata è farina del sacco di uno o più traduttori editoriali”. 




Un lavoro di altissima qualità, dunque, che purtroppo però è sempre più spesso costretto a svolgersi a ritmi serrati, giocando al massimo ribasso e senza tutela: i compensi di un traduttore variano in modo estremo, dai 9 ai 20 euro lordi a cartella. Non è così ovunque: se in Italia un traduttore cede il proprio diritto d’autore in media per 12-15 euro lordi e spesso rinuncia alle royalty sulle vendite, un francese, un tedesco o un inglese guadagnano dai 30 ai 40 euro a cartella e mantengono una percentuale di diritti sul venduto che va dall’1,5 al 2%. In Italia tutto è più difficile. “Spesso bisogna contrattare con l’editore sul compenso o sui tempi di consegna – sottolinea Manuela Francescon, giovane traduttrice dal tedesco e dall’inglese, con una lunga esperienza in passato in diversi ambiti della produzione letteraria – ed è sempre più difficile farsi ascoltare, visto che molti si improvvisano traduttori senza una formazione specifica o esperienza. Per questo servirebbe introdurre un contratto standard, con condizioni eque e concordate tra le parti, e che venisse applicato poi da tutti gli editori. Si parla di traduzione solo quando si prende una cantonata, ma dietro ogni libro ci sono passaggi importanti che non devono venir trascurati”.


Per spiegare l’importanza di questo lavoro bisogna tornare alla metafora della musica: “Pensate a una sonata di Beethoven suonata da un musicista che non abbia il tempo per prepararsi, un pianoforte su cui esercitarsi, la sicurezza di suonare proprio quel giorno lì e non una settimana prima o una dopo, che non possa riascoltare quello che ha fatto, sia pagato poco e male e spesso in ritardo: secondo voi come risulterebbe l’esecuzione in queste condizioni?”, sottolinea Petruccioli. Per questo uno degli obiettivi di Strade è chiedere ai lettori di pretendere di più, di cominciare a giudicare i libri anche per come sono stati tradotti, e di frasi sentire dagli editori quando la traduzione non sembra loro all'altezza. 



Gli invisibili della scrittura 
È chiaro, dunque, come “queste figure, condannate all’invisibilità quasi per definizione, abbiano un enorme bisogno di potersi rivolgere a un’associazione che le tuteli e le aiuti a fare rete – racconta il segretario di Strade –. Fino a una decina di anni fa i corsi di laurea in traduzione quasi non esistevano. Si è sempre pensato che bastasse sapere un po’ di una lingua e amare vagamente la lettura per poter fare questo lavoro, come se fosse un’operazione meccanica o un hobby per ricche signore annoiate che avevano vissuto all’estero. Solo da relativamente poco tempo anche da noi si comincia a dare il giusto peso a un mestiere che richiede non soltanto un’alta formazione, ma anche un’estrema dose di sensibilità, fiuto e capacità creativa”. 



E se soltanto da poco i traduttori italiani hanno cominciato a pretendere che il valore del loro lavoro sia riconosciuto a tutti i livelli in Italia resta ancora molto da fare: da un ragionamento sui contratti che parta dal diritto d’autore (un servizio di consulenza legale è disponibile scrivendo a contratti@traduttoristrade.it), fino all’equo compenso; da un adeguato sostegno istituzionale (anche sotto forma di incentivi economici ai traduttori, come avviene in tutti i maggiori paesi europei) all’ottenimento di tempi di lavoro meno massacranti, per arrivare alle normali tutele, come maternità e malattia, che per il momento non esistono. Questi gli obiettivi di Strade, e l’impegno per raggiungerli anche se ancora sotto traccia, è cominciato almeno dieci anni prima. “Eravamo stanchi di sentirci soli – racconta oggi Petruccioli –. Per questo abbiamo cominciato a cercarci su internet, nei forum, alle fiere del libro, nelle manifestazioni culturali, e abbiamo iniziato a parlare tra di noi. Di come lavoravamo, e di come ci facevano lavorare. Di come migliorare il nostro lavoro e le condizioni in cui esso si svolge”. 



Da allora di strada, appunto, ne è stata fatta: Strade, oltre ad aver firmato un protocollo d’intesa con Slc, è membro del Ceatl (il Conseil européen des associations des traducteurs littéraires) e fa parte della commissione Mibac che assegna i premi nazionali per la traduzione. Ha sottoscritto per i propri soci ordinari e associati una convenzione di assistenza sanitaria integrativa con la società di mutuo soccorso Insieme salute (la mutua Elisabetta Sandri). Ha una propria rivista (http://strademagazine.it), offre consulenza legale e fiscale a iscritti ed esterni, ha stabilito una convenzione con una legale specializzata nel settore dell’editoria e del diritto d’autore ed è in contatto con diversi avvocati specializzati in varie parti d’Italia; infine, ha pubblicato un vademecum legale e fiscale e si occupa di formazione. “Un primo passo verso la visibilità è stato fatto – conclude Francescon –. Ora non resta che rimanere uniti e continuare a lottare”. In punta di penna o, meglio, di diritti e parole.

fonte: http://www.rassegna.it/
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Sul tradurre in inglese l’italiano

Sul tradurre in inglese l’italiano


Un esperto traduttore americano spiega che il difficile non sono le lingue diverse: sono i mondi diversi

Antony Shugaar è un traduttore statunitense con una lunga esperienza nella traduzione di testi italiani in inglese: ha tradotto diversi libri di Primo Levi e più di recente Resistere non serve a niente di Walter Siti e Il metodo del coccodrillo di Maurizio De Giovanni. In un articolo sul New York Times ha raccontato i tempi dei suoi primi lavori da traduttore in Italia e le difficoltà e i problemi più comuni in cui si imbattono i traduttori di lingua inglese quando hanno a che fare con dei testi scritti in italiano.
All’inizio degli anni Ottanta Shugaar si trasferì a Milano e lavorò per un po’ di tempo nella rivista italiana d’arte FMR, acronimo dell’editore Franco Maria Ricci: gli uffici si trovavano all’interno del sontuoso Palazzo Visconti di Modrone, e un paio d’anni dopo l’uscita in Italia FMR cominciò a essere pubblicata anche negli Stati Uniti (con uno slogan piuttosto ambizioso, ricorda Shugaar: “la più bella rivista del mondo”, secondo una definizione che veniva da Jacqueline Kennedy, amica di Ricci).
Per la traduzione dei testi della rivista Ricci si affidò a William Weaver, uno dei più noti e apprezzati traduttori dall’italiano all’inglese, che visse a lungo in Italia e che all’epoca aveva da poco tradotto Il nome della rosa di Umberto Eco (Weaver tradusse anche Svevo, Calvino, Zavattini, Moravia, Montale e altri grandi autori della letteratura italiana). Nel suo pezzo per il New York Times Shugaar cita alcune piccole e grandi lezioni che in quegli anni apprese da Weaver, che considera uno dei suoi grandi maestri e al quale è in parte dedicato il suo ricordo (Weaver è morto il 12 novembre scorso, aveva 90 anni).
Tra i testi più lunghi e complessi mai tradotti da Weaver già all’epoca, c’era Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, un romanzo – uscito per il mercato statunitense nel 1965, con il titolo That Awful Mess on Via Merulana: A Novel – che alla complessità della trama univa quella della lingua utilizzata da Gadda. Shugaar chiese a Weaver come si fosse regolato con la traduzione dei numerosissimi dialetti – romano, napoletano e altri  – utilizzati da Gadda, e Weaver gli rispose: «Ah be’, li ho tolti». Che nel caso del Pasticciaccio di Gadda, scrive Shugaar, “è come tradurre Moby Dick e togliere le barche”.
Nell’introduzione all’edizione inglese del Pasticciaccio, Weaver scrisse che “tradurre il dialetto romano o veneziano di Gadda nella lingua del Mississippi o delle Isole Aran (Irlanda) sarebbe assurdo come tradurre il linguaggio della famiglia Snopes dei romanzi di Faulkner in siciliano o in gallese”. Piuttosto aveva preferito tradurre quelle parti in un inglese parlato, chiedendo esplicitamente al lettore – nell’introduzione – lo sforzo di immaginare che quelle parole fossero pronunciate dai protagonisti in uno dei tanti dialetti italiani o in un miscuglio di dialetti differenti.
Nel lavoro di un traduttore casi del genere sono molto frequenti e racchiudono una difficoltà ineliminabile, di fronte alla quale il traduttore – scrive Shugaar, commentando quella scelta di Weaver – sostanzialmente si rassegna e rinuncia, che è un po’ come “perdere un paziente”. Sebbene negli Stati Uniti sia pratica piuttosto comune tradurre, ad esempio, il dialetto siciliano nel dialetto di Brooklyn – e Shugaar cita il caso di Stephen Sartarelli, traduttore inglese dei libri di Andrea Camilleri sul commissario Montalbano – secondo Shugaar si tratta di una scelta comprensibile ma “assurda”, esattamente come la convenzione americana di dare un accento inglese ai soldati tedeschi nei film ambientati durante la seconda guerra mondiale.
Un esempio cinematografico recente di grande successo, Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, presentava un caso ancora più complesso (ma gli spettatori italiani hanno perso anche l’accento a momenti inglese – assai rilevante nella trama – della protagonista di American Hustle). La produzione americana si trovò di fronte alla necessità di prendere una decisione riguardo alle tre lingue diverse dall’inglese parlate nel film, e anche in quel caso una sostanziale “rinuncia” finì per diventare uno dei maggiori pregi del film: le parti recitate dagli attori in francese, tedesco e italiano non furono doppiate in inglese – magari con accenti particolari, come nei casi citati da Shugaar – e nelle sale americane quelle parti furono sottotitolate.



Tornando ai libri, spessissimo è come se la traduzione richiedesse delle spiegazioni ulteriori per un lettore inglese, dice Shugaar, e fa una serie di esempi: se un autore italiano scrive di un tale che si ferma in un autogrill in autostrada, un lettore italiano immagina immediatamente di che luogo stiamo parlando – “questi piccoli negozi in stile anni Sessanta sparsi lungo l’autostrada da dove si vedono sfrecciare auto a 150 all’ora” – ma un lettore inglese lo immagina diversamente. Oppure, ancora: se un autore italiano scrive di uno che cade con “la faccia sull’asfalto” (“face-down onto the asphalt”), un lettore italiano capisce che può essere un marciapiede, e non una strada. Anche solo tradurre una scena normalissima in cui due persone entrano in un ristorante, prosegue Shugaar, presenta la difficoltà di dover tenere a mente che in Italia il più delle volte le porte degli edifici pubblici si aprono verso l’interno, non verso l’esterno come avviene negli Stati Uniti (per ragioni di sicurezza).
E poi ci sono altre difficoltà propriamente lessicali: “casa” in inglese è “house”, ma per gli italiani di solito si riferisce a un appartamento, e può essere anche un palazzo. Non solo: in Italia il primo piano di un palazzo è quello in cui ti trovi dopo aver salito una rampa di scale, mentre negli Stati Uniti quello sarebbe il “second floor” (“first floor” è piano terra). Infine ci sono dei casi paradossali – e anche vagamente comici – in cui certe espressioni suonano strane anche al traduttore: Shugaar scrive che uno dei suoi avvisi italiani preferiti – che a volte gli è capitato di trovare nei libri e di dover tradurre – è quello utilizzato dagli addetti comunali quando è in programma la pulizia stradale, per indicare il divieto di parcheggiare sia lungo le strade “sia sui marciapiedi”, da cui Shugaar deduce che in Italia i marciapiedi sono quindi considerati anche area di parcheggio per le macchine.
È per tutti questi motivi che tradurre richiede non soltanto particolare attenzione ma anche parecchio tempo e indagini “sul territorio”, spiega Shugaar: in una giornata di lavoro intensa, andando veloce, si riescono a tradurre 10-15 pagine di un libro. Ma tradurre è come “camminare su un’autostrada, laddove leggere significa guidare a cento all’ora”, e a volte devi fermarti e fare un giro nel panorama intorno.
Shugaar – per capirci sulle difficoltà del tradurre in genere – conclude il pezzo utilizzando un gioco di parole che esiste in inglese ma che è intraducibile in italiano e visto da qui, appunto, fa già molto meno effetto:

Spesso si parla di parole intraducibili (“untranslatable words”), ma in un certo senso non esistono parole intraducibili. Possono servire tre parole, o una frase intera, o un paragrafo aggiuntivo, ma qualsiasi parola può essere tradotta. A meno di non trasformare un libro in un’enciclopedia, però, non c’è modo di risolvere il problema più grosso: i mondi intraducibili (“untranslatable worlds”).
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The Stridonium 2014 Conference

The Stridonium 2014 Conference



First of all, thanks to Riccardo for inviting me to write a guest post about the Stridonium conference in Cambridge this year.

For readers who aren’t familiar with Stridonium, it was set up in 2009 as a venue for professional language specialists. Originally a private site for professional exchange and support for translators, it is now exploring alternatives to further the interests and raise the standards of the translation sector.

Most of the Stridonium site is open to members only, but you can get more information by visiting our Home Page, or our Mission Statement.

The Stridonium 2014 Conference
Communicating in Business – Getting Language Right
Stridonium will host this conference on 24 March 2014 at the Møller Centre in Cambridge.

The aim of the Stridonium conference is to engage with businesses. It will emphasise to an audience of businessmen and language specialists the importance of getting language right and – maybe more importantly – point out the pitfalls of getting it wrong.

When corporations spend so much time, money and effort on texts in their own language, isn't it only logical that they be as meticulous about the quality of communication in other languages?

Unfortunately, as many of us know, that doesn't always follow. Translation in particular is too often an afterthought or an “add-on”, with everything from marketing texts to crucial legal documents being bundled off unceremoniously by a hapless secretary to the first translation agency she can find on Google.

So this conference will help businesses and at the same time raise the profile of quality services as a distinct segment within the language industry. It will emphasise the benefits of giving language higher priority, getting the right language specialists on board and making them a more integral part of the team and the process. With more and more companies trading across borders, this message has never been more important.
Stridonium's initiative has the support of some high-calibre speakers with backgrounds in politics, business and diplomacy, including:
Sir Colin Budd KCMG, former British Ambassador to the Netherlands
Charles Grant CMG, Director of the Centre for European Reform and Vice Chair of the Executive of Business for New Europe
Jeff Heasman, Director at the Pyramid Group
Andrew Wood, Consultant at Birketts LLP and member of the Executive Board of the Dutch-British Chamber of Commerce

All of our speakers will draw on their wide knowledge and a wealth of anecdotal experience to illustrate the importance of using the right words – and the consequences of using the wrong ones.

They will explain the benefits of:
setting company-wide language policy
effective legal and business communication
using the right language for effective advertising campaigns
avoiding cultural pitfalls
saving money by buying wisely
In the last afternoon session we will wrap up by offering businesses practical information on how to procure language services, what to look for and where to look.

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Bleach's Genryūsai Voice Actor Masaaki Tsukada Passes Away

Bleach's Genryūsai Voice Actor Masaaki Tsukada Passes Away

Voice of One Piece's Toto,
Captain Tylor's Wang, 
Yumeiro Pâtissière's Chairman
Bleach voice actors Masakazu Morita (Ichigo Kurosaki) and Keiichi Takahashi (Tōdō Gizaemon) reported on Wednesday that fellow voice actor Masaaki Tsukada had passed away. Tsukada was 74 when he passed away on Monday, January 27. He had been under medical treatment for illness for some time.

Tsukada's many roles include Genryūsai Shigekuni Yamamoto in Bleach, Toto in One Piece, Kobayashi-cha in Prince Mackaroo, Kiichirō Kimiyoshi in Higurashi no Naku Koro Ni Kai, General Grumman in Fullmetal Alchemist, Yutaka in Hoka Hoka Kazoku, Wang in The Irresponsible Captain Tylor, Gorō Tashiro in Showa Monogatari, and the Chairman in Yumeiro Pâtissière. He also dubbed Steve Kahan's character Captain Murphy in the Lethal Weapon films into Japanese. He was married to voice actress Masako Nozawa, who will be his chief mourner during his memoral services this weekend.

Morita said that he was at a loss on what to do, after the news of Tsukada's passing reached him. He remembered how Tsukada would always affectionately call him "Ichigo" instead of "Morita" at the recording studio for Bleach. He also remembered Tsukada's always smiling, bright personality, even though he would carry an air of dignity when he assumed the role of Genryūsai Shigekuni Yamamoto.

Takahashi remarked that Tsukada was in poor health and highlighted Tsukada's roles of Genryūsai in Bleach and Toto in One Piece. He added that Tsukada's voice was quite marvelous with a gentle dignity.
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Post in translation: Ismail Kadare

Post in translation: Ismail Kadare

A due o a quattro mani: lo strano caso dei traduttori di Ismail Kadare
di Francesca Spinelli

Ismail Kadare
Una versione più lunga di questo articolo è uscita nel volume Il confine liquido. Rapporti letterari e interculturali fra Italia e Albania, a cura di Daniele Comberiati e Emma Bond -Besa 2013. Il libro verrà presentato a Tirana il 23 gennaio 2014 nell’ambito del convegno dal titolo “Kujtesa, identiteti dhe integrimi. Letteratura albanese migrante in lingua italiana”.
Per indicare quei testi tradotti una prima volta e quindi ritradotti in una terza lingua, il critico Michael Orthofer ha preso in prestito dalla genealogia un’espressione poeticamente concisa: twice removed. In un articolo pubblicato nel 2003 sulla rivista online The Complete Review, Orthofer si stupisce che ancora oggi le opere di alcuni noti autori siano tradotte in inglese da traduzioni già esistenti, citando come esempi Sándor Márai, Haruki Murakami, Witold Gombrowicz e Ismail Kadare, e conclude che “senza una grande rivolta contro la traduzione di seconda mano – da parte dei lettori, dei critici, degli autori e dei traduttori stessi – è probabile che questo tipo di traduzioni continui a essere pubblicato”1.

In Italia solo una piccola parte delle opere di Ismail Kadare è stata tradotta direttamente dall’albanese. Molte sono comprese nel catalogo Longanesi, che ha comprato i diritti da Fayard, unico editore di Kadare in Francia. Le opere di Kadare, spiega Fayard sul suo sito, sono state tradotte “in una quarantina di paesi”. Sarebbe più corretto dire che in molti di quei paesi i lettori, spesso a loro insaputa, hanno a disposizione solo le traduzioni della versione francese. In Brasile, invece, le traduzioni dirette e indirette sono presenti in uguale misura. Ci sono infine paesi – tra cui Spagna, Germania e Paesi Bassi – dove i testi di Kadare sono tradotti unicamente dall’albanese. – Risalendo indietro nel tempo o esplorando i cataloghi di editori minori, è possibile scovare traduzioni dirette anche verso l’italiano o l’inglese, ma rimangono eccezioni in un quadro per lo più francocentrico.2

I traduttori di Kadare si dividono così in due categorie, a seconda che conoscano o meno l’albanese. Nel 2005 David Bellos, il principale traduttore di Kadare in inglese insieme alla francesista Barbara Bray (scomparsa nel 2010), ricordava così la scoperta dell’autore del Generale dell’armata morta: “Quando, dieci anni fa, il direttore letterario di The Harvill Press Christophe MacLehose mi chiese di tradurre Dosja H di Ismail Kadare dalla versione francese, in un primo momento esitai. Non parlavo albanese (ancora oggi conosco solo pochi elementi di questa lingua strana e difficile). E poi avevo dei principi! […] ‘Perché non fate tradurre il testo direttamente dall’albanese?’, chiesi a MacLehose. Sollevò le sue lunghe braccia al cielo. ‘Se solo sapessi...’, fu la sua misteriosa e irrefutabile risposta”.3

Il mio primo istinto, quando nel 2008 Fandango mi ha proposto di tradurre il saggio Dante, l’incontournable (in albanese Dantja i pashmangshëm) è stato di controllare l’unico testo di Kadare che avevo a casa, il romanzo breve L’aquila, tradotto da Francesco Bruno e pubblicato da Longanesi nel 2007. Unica indicazione sulla versione originale: “Traduzione dal testo francese L’Aigle”, senza che fosse precisato il nome del traduttore dall’albanese al francese. Mi è sembrato strano, come mi ha stupito che non ci fossero persone in grado di tradurre direttamente dall’albanese, ma Fandango ha insistito. Ho accettato, come Bellos, zittendo i miei scrupoli.

A parte rari e splendidi casi come quelli raccolti nella collana di Einaudi “Scrittori tradotti da scrittori”, le doppie traduzioni sono difficilmente difendibili. Fanno un torto ai lettori, spesso ignari del doppio passaggio, e sono estremamente frustranti per i traduttori, confrontati non solo al rischio di fraintendere il testo, rischio insito nell’atto stesso di tradurre, ma anche al timore di perpetuare un errore del primo traduttore. Torniamo alla “Breve storia dell’Albania con Dante Alighieri” (questo il sottotitolo) di Kadare. L’argomento imponeva la massima minuzia, ma il passaggio dal francese ha inevitabilmente amplificato difficoltà e dubbi, in parte risolti grazie all’autore della versione francese, Tedi Papavrami. Nato a Tirana nel 1971, Papavrami è noto soprattutto come violinista, ed è proprio grazie al suo talento musicale che nel 1982 si è potuto trasferire in Francia per studiare. Nel 2001, in seguito a una vicenda di cui parlerò più avanti, Fayard gli ha affidato la traduzione delle opere di Kadare.

Durante i nostri scambi Papavrami ha ammesso alcuni errori, suoi o dell’editor di Fayard, permettendomi di ripristinare il senso originario. “Mi scuso per queste imprecisioni”, ha poi scritto, “ma io stesso a tratti ho faticato a capire questo testo. Di tutti i libri di Kadare che ho tradotto, è quello che mi ha messo più in difficoltà”. Mai confessione fu raccolta con tanto sconforto.

Nel 2010 Fandango ha pubblicato un secondo testo di Kadare, Il mostro, un romanzo che intreccia diversi piani temporali giocando su parallelismi e intersezioni tra il mito della caduta di Troia e l’arroccamento dell’Albania comunista di Enver Hoxha. Ho scoperto con orrore che Papavrami non avrebbe potuto essermi d’aiuto, perché l’autore della versione francese era scomparso da qualche anno. Si chiamava Jusuf Vrioni, e la sua storia meriterebbe un libro a parte4. Morto a Parigi nel 2001, Vrioni era il doppio francese – o meglio francofono – di Kadare. Nato nel 1916 in una famiglia aristocratica albanese, aveva trascorso gran parte della giovinezza in Francia, dove suo padre era ambasciatore, e dove aveva acquisito una padronanza perfetta della lingua. Nel 1943 decise di tornare in Albania. Fu arrestato quattro anni dopo con l’accusa di essere una spia, torturato e incarcerato. Una volta liberato, nel 1959, cominciò a tradurre per guadagnarsi da vivere: traduceva in francese testi politici, tra cui le opere di Hoxha, e letterari, in particolare quelli di un giovane autore di nome Ismail Kadare.

Come racconta lo stesso Kadare in un’intervista uscita su La Matricule des Anges nel 1999, l’inizio della sua fortuna in Francia risale alla fine degli anni sessanta, quando il giornalista Pierre Paraf, in viaggio in Albania, capitò sulla versione francese del Generale dell’armata morta, tradotto da Vrioni e pubblicato tre anni prima per volere delle autorità comuniste. Paraf portò il volume in Francia e l’editore Albin Michel lo pubblicò nel 1970, senza doverne acquistare i diritti poiché l’Albania di Hoxha non aveva firmato nessun trattato sul diritto d’autore.

Per anni Vrioni, malvisto in quanto ex detenuto politico, rimase un traduttore invisibile. Il suo nome non appariva mai, e i primi lettori francesi di Ismail Kadare dovettero accontentarsi di un vago “Traduit de l’albanais”. Il riconoscimento arrivò tardi, quando Vrioni aveva più di sessant’anni, con la pubblicazione di Il ponte a tre archi e Aprile spezzato (usciti rispettivamente nel 1970 e nel 1980 in Albania, e nel 1981 in Francia). Nel 1985, per la prima volta dopo oltre quarant’anni, Vrioni poté uscire dall’Albania, e nel 1997 decise di lasciare definitivamente il paese per tornare a Parigi.

Chi l’ha conosciuto lo ricorda come un uomo la cui cultura e raffinatezza erano pari solo alla sua umiltà5. Orthofer sottolinea che le traduzioni inglesi riportano generalmente la dicitura “Translated from the French of Jusuf Vrioni”. In Italia si è a lungo ignorata questa buona abitudine, e io stessa non ho pensato a far inserire il nome di Papavrami in Dante, l’inevitabile, riparando l’errore nelle due traduzioni seguenti, Il mostro e La nicchia della vergogna. Dopo la morte di Vrioni Fayard ha chiesto a Papavrami di curare le traduzioni delle opere di Kadare.

A differenza di Vrioni e Papavrami, in grado di tradurre dalla propria lingua madre in una lingua di adozione6, molti “traduttori diretti” di Kadare hanno imparato la lingua del paese delle aquile, per motivi spesso singolari. Per il traduttore spagnolo Ramón Sánchez Lizarralde e il tedesco Joachim Röhm la spinta fu ideologica. Nel 1977, su invito del regime di Hoxha, l’allora trentenne Röhm e la moglie si trasferirono in Albania, dove vissero tre anni. Una volta tornato in Germania, Röhm diventò il principale traduttore di letteratura albanese in tedesco. Lizarralde, scomparso nel 2011 a soli sessant’anni, seguì un percorso simile. Membro del Partido comunista marxista leninista, nel 1980 andò a studiare a Tirana, dove conobbe Kadare e si laureò in Lingua albanese, prima di tornare in Spagna nel 1984.

Nei Paesi Bassi Kadare ha due traduttori albanofoni, Roel Schuyt e Jacqueline Sheji. Quest’ultima, dopo aver imparato la lingua del marito, l’artista Qenan Sheji (macedone, ma appartenente alla minoranza albanese del paese), ha tradotto diversi autori albanesi. Roel Schuyt, invece, ha imparato la lingua di Kadare su richiesta di un editore, vicenda originale raccontata sul sito del premio di traduzione Aleida Schot7: “Intorno al 1994 un editor della casa editrice Van Gennep chiese a un membro della giuria del premio se conosceva qualcuno in grado di tradurre dall’albanese. L’editore aveva acquisito i diritti delle opere di Ismail Kadare, ma non aveva nessuno cui affidare una traduzione diretta dall’albanese. Il membro della giuria rispose senza esitare: ’Rivolgetevi a Roel Schuyt. Non sono certo che conosca l’albanese, ma se serve lo imparerà’”.

Ho avuto un solo, breve scambio con Ramón Sánchez Lizarralde, a cui mi sono rivolta dopo aver scoperto che il traduttore di Le monstre non era Papavrami ma Vrioni. Non mi rassegnavo all’idea di non poter chiedere delucidazioni a qualcuno che avesse letto il testo in albanese, e dopo una rapida ricerca ho individuato in Lizarralde il mio salvatore. Nell’email in cui mi allegava il testo di El monstruo, scriveva: “È davvero un peccato che non si riesca a trovare un bravo traduttore diretto [in italiano]… Non voglio sembrarti presuntuoso, ma se trovi delle differenze tra il francese e lo spagnolo, la mia versione sarà quasi sempre più fedele (anche per quanto riguarda il fraseggio e il tono)”.

Le due traduzioni erano effettivamente dissimili, come ha rivelato un certosino confronto. In alcuni punti ho corretto quelli che erano veri e propri errori di Vrioni (o forse, chissà, dello stesso Kadare). In altri mi sono attenuta alla traduzione francese. Più volte ho invocato la protezione di san Girolamo, chiedendomi che senso avesse quell’imperfetta triangolazione letteraria. Ho trovato un principio di risposta in un articolo di Lizarralde uscito nel 2001 sulla rivista online El Trujamán8. Ricordando i tempi in cui Kadare era ancora sconosciuto in Spagna, Lizarralde scriveva: “Fu all’incirca nel 1988 che, dopo anni di peregrinazioni tra case editrici, nel tentativo di convincere i direttori che valeva la pena di pubblicare Ismail Kadare in spagnolo e che, naturalmente, io ero la persona adatta per tradurre le sue opere, m’imbattei (o forse fu lui a imbattersi in me) in un editore che da tempo inseguiva il mio autore ma si rifiutava di promuovere un’operazione di doppia traduzione (dal francese). Era Mario Muchnik, all’epoca a capo della casa editrice che ancora oggi porta il suo nome. Pieno d’immotivata fiducia nelle mie doti letterarie, si appassionò da subito al progetto […] e mi misi (mi mise) al lavoro. Non fu facile. La casa editrice francese che aveva i diritti universali sull’opera di Kadare si mostrò decisamente restia all’idea che venisse tradotto dall’albanese e all’epoca i miei rapporti con l’autore erano quasi inesistenti. Più volte ci chiesero di usare la versione francese come punto di partenza di quella spagnola. Mario, però, s’impuntò, mi sostenne e proseguimmo il nostro lavoro”.

Fayard, rappresentata dall’agenzia letteraria The Wylie Agency, possiede i diritti sulla traduzione dei libri di una serie di autori non francesi, tra cui Kadare. E stando al racconto di Lizarralde, racconto peraltro confermato dall’alta percentuale di doppie traduzioni di opere di Kadare, preferisce che la versione francese sia considerata quella di riferimento. Per quale motivo un autore e il suo editore dovrebbero prediligere il doppio passaggio tra testo e lettore, con tutti i rischi che comporta?

Nel suo articolo Orthofer formula un’ipotesi interessante: “Un’ultima spiegazione della bizzarra scelta di tradurre un testo già allontanato di un grado [once removed] dall’originale potremmo cercarla in ciò che l’editore vuole presentare: forse non è il testo originale che punta a offrire al pubblico anglofono, ma la traduzione”. Orthofer fa poi l’esempio del romanzo di Sándor Márai Le braci, tradotto in inglese dalla versione tedesca di Christina Viragh, Die Glut. E immagina che gli editori Knopf (negli Stati Uniti) e Viking (in Gran Bretagna) abbiano fatto una considerazione di natura principalmente economica: “Visto il successo di critica e di vendite della versione di Viragh (e il poco interesse suscitato per circa sessant’anni dalla versione ungherese di Márai del 1942), quest’ipotesi non sembra poi tanto astrusa”.

Nel caso di Kadare abbiamo un editore, Fayard, che incoraggia altri editori a prediligere la doppia traduzione, e lo fa con l’appoggio dell’autore. Se la motivazione economica non è da escludere del tutto (in fondo la fama di Kadare è sbocciata dalla penna raffinata di Jusuf Vrioni), c’è chi spiega altrimenti la volontà di mettere in ombra la versione originale.

Una premessa: il concetto stesso di versione originale, riferito a Kadare, è problematico. Come spiega Lizarralde nella prefazione di El nicho de la vergüenza, Kadare ha approfittato della pubblicazione delle sue opere complete, edite in Francia da Fayard e in Albania da Onufri, per rivedere i suoi testi: “Nella maggior parte dei casi si tratta di correzioni e modifiche di carattere strettamente stilistico. A volte si arriva alla ricostruzione di alcuni personaggi e di passaggi che non convincevano del tutto Kadare. Ci sono infine casi in cui i cambiamenti consistono, da un lato, in un ritorno alla stesura originaria del testo, alterata dall’autore per motivi dettati dalla censura o dalla convenienza politica, con lo scopo di assicurare la sopravvivenza dell’opera a seguito delle critiche ricevute; dall’altro, nell’eliminazione di elementi che fin dal principio dovevano servire a far pubblicare il testo alle condizioni del regime dell’epoca”.9

La pubblicazione delle opere complete è cominciata nel 1993, ma fin dalle prime traduzioni in francese Kadare ha preso l’abitudine di rivedere i suoi testi. Per “versione originale”, quindi, si possono intendere tre testi diversi (almeno nel caso dei romanzi più famosi di Kadare, scritti prima che lasciasse l’Albania nel 1990): la prima versione pubblicata in albanese; la versione di Jusuf Vrioni, rivista con l’accordo dell’autore, da cui come sappiamo deriva gran parte delle traduzioni in altre lingue; la versione albanese rivista e corretta.

Per riprendere il ragionamento di Orthofer, cos’è, dunque, che Fayard vuole “presentare” al pubblico? Semplicemente una versione migliorata delle opere di Kadare? E in che modo la percezione che i lettori hanno dell’autore è stata influenzata dal monopolio dell’editore francese? Qui tocca evocare, almeno a grandi linee, la decennale querelle tra difensori e detrattori di Kadare, rianimata nel 2005 dall’assegnazione del primo Man International Booker Prize all’autore albanese10 . Per i suoi ammiratori, che oltre al talento letterario ne elogiano il coraggio di fronte al regime comunista, il riconoscimento era più che meritato. I suoi detrattori hanno invece denunciato l’ennesima mossa di una campagna che, da anni, occulterebbe la vera natura di Kadare: quella di un uomo complice del regime comunista, ma così abile da compiere un discreto voltafaccia dopo il trasferimento in Europa, modificando opportunamente le sue opere precedenti ed ergendosi a simbolo della resistenza contro la ferocia della dittatura.11.

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Tra questi due estremi troviamo posizioni più sfumate, in particolare quella di Peter Morgan, docente di Studi europei all’Università di Sydney e autore di un recente studio biografico su Ismail Kadare12. Senza negare l’ambiguità dei rapporti che legavano Kadare al regime comunista, Morgan la interpreta come una strategia di sopravvivenza, resa vincente anche grazie al ruolo delle traduzioni. In un articolo del 2008 Morgan ricorda che nei paesi socialisti “la linea tra opposizione e collaborazione era spesso sottile”13. Pur riconoscendo i privilegi riservati a Kadare – membro del sindacato degli scrittori e in seguito deputato, non fu mai incarcerato né sanzionato in alcun modo e poté sempre viaggiare all’estero e pubblicare i suoi testi – Morgan sostiene che “Kadare non era libero di rifiutarli, e che [quei privilegi] avevano un prezzo. Come ogni altro aspetto della sua vita in Albania, erano controllati dall’alto. Per sopravvivere, Kadare dovette adeguarsi al regime e usare i suoi privilegi per promuovere la causa della sua scrittura”14 . In un altro articolo intitolato “Translation and dictatorship”, Morgan afferma che nelle traduzioni di Jusuf Vrioni Kadare trovò un’ancora di salvezza, “l’unico modo per salvaguardare la propria opera nella forma che voleva”15 . Le traduzioni, anche se successive alla versione in albanese, sarebbero quindi più originali perché libere dalle catene della censura e dell’autocensura.

Le analisi di Morgan si basano sulla distinzione – difesa dallo stesso Kadare – tra dissenso politico e letterario. Kadare, argomentano i suoi ammiratori, non ha mai sostenuto di essere un Vaclav Havel. La sua resistenza si è espressa attraverso la creazione e la scrittura, e il suo valore andrebbe giudicato unicamente sul piano letterario. Sofismi, ribattono diversi studiosi, che spesso – a differenza di Morgan, Bellos e altri difensori di Kadare – parlano albanese. È il caso degli albanologi canadesi Robert Elsie e Barry Baldwin, entrambi critici verso Kadare anche se con toni diversi: più misurato Elsie, che sul suo sito personale (Albanianstudies.net) firma un ritratto nell’insieme lusinghiero di Kadare ma che in altre sedi ha descritto anche i lati meno nobili del personaggio; categorico Baldwin, che passando al setaccio le dichiarazioni e gli scritti di Kadare dopo il 1990 e confrontandoli con numerose fonti albanesi, ne deduce che l’autore dei Tamburi della pioggia è un impostore, capace di macchiare la memoria di scrittori e intellettuali come Arshi Pipa, Fatos Lubonja e Kasëm Trebeshina che, a differenza sua, ebbero il coraggio di opporsi al regime di Hoxha e ne pagarono le conseguenze16 .

Il contrasto con i commenti agiografici generalmente riservati a Kadare è forte, come forti sono le riserve di molti albanesi verso quello che il mondo intero considera il loro più grande autore ma che ai loro occhi, nonostante il successo di critica e i riconoscimenti internazionali, rimane un uomo compromesso con il regime di Hoxha. Il giovane scrittore e giornalista Darien Levani, che vive in Italia dal 2000, mi ha raccontato un aneddoto che riassume il sentimento generale dei suoi connazionali: “Mesi fa ero in Albania e stavo guardando la televisione in un’osteria. C’era Kadare che raccontava quanto aveva sofferto durante il comunismo. Nessuno si capacitava: ’Ma se era ricco, era deputato, abitava a Tirana, aveva la casa e lo stipendio pagati dal Partito…’, ha detto un cliente sulla cinquantina”. Se tra i giovani, costretti a studiarlo a scuola, Kadare ha preso le sembianze polverose di un Manzoni, per molti albanesi rimane una figura controversa: “Come scrittore è molto apprezzato”, conclude Levani, ma “come uomo è difficile da amare”.

Non sta agli editori decifrare il passato di Kadare o giudicarne la caratura morale. Possono però ridurre la distanza tra le sue opere e i suoi lettori, voltando una pagina poco gloriosa della storia della traduzione.
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Traduzione e software libero si danno appuntamento a Forlì


Traduzione e software libero si danno appuntamento a Forlì

Una due giorni per ripensare il ruolo professionale e sociale del traduttore alla luce dei nuovi strumenti liberi e dei nuovi modi di "tradurre insieme", come lavoro e come forma di volontariato.

Traduzione e software libero si danno appuntamento a Forlì
Il Dipartimento di Interpretazione e traduzione dell'Università di Bologna organizza la terza edizione del convegno internazionale "TeTra, Tecnologie per la Traduzione" che si terrà venerdì 24 e sabato 25 gennaio presso la sede di Forlì della Scuola di Lingue e letterature, traduzione e interpretazione. Tema dell'incontro sarà "Collaborare, condividere, partecipare: traduzione e software libero nell'era del web 2.0".

Come già avvenuto nelle scorse edizioni del 2009 e del 2011, l'evento richiamerà più di un centinaio di partecipanti provenienti da tutta Europa: noti studiosi ed esperti del settore, traduttori professionisti, responsabili di agenzie di traduzione e associazioni di categoria, docenti, ricercatori e studenti.

Il convegno dedicherà ampio spazio al software libero, divenuto ormai una valida alternativa al software commerciale, e alle forme di collaborazione virtuale rese possibili dallo sviluppo del web 2.0. Sarà quindi un'occasione per ripensare il ruolo professionale e sociale del traduttore alla luce di questi nuovi strumenti liberi e di questi nuovi modi di "tradurre insieme", come lavoro e come forma di volontariato.

Il convegno è organizzato dal Dipartimento di Interpretazione e traduzione in collaborazione con l’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti (AITI), con Assointerpreti, l’associazione nazionale interpreti di conferenza professionisti, con Unilingue, la principale associazione nazionale di imprese di servizi linguistici e con TradInFo, giovane associazione di traduttori e interpreti.
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La mappa dell'Europa diventa un traduttore universale

La mappa dell'Europa diventa un traduttore universale

L'Università di Glasgow ha creato un sito web che traduce istantaneamente una parola in una moltitudine di lingue europee, posizionando i risultati su una mappa in base alla lingua d'appartenenza.

James Trimble dell'Università di Glasgow ha creato "European word translator", una mappa interattiva che traduce istantaneamente una parola dall'inglese in altre lingue europee, posizionandole correttamente sulla cartina in base alla lingua d'appartenenza. Un'idea tutt'altro che trascendentale, ma che se usata nel modo giusto potrebbe servire per dare una rinfrescata alla geografia oltre che alle lingue del vecchio continente.

European word translator

È solo un esempio delle potenzialità degli strumenti Open Source e delle fonti Open Data. Nel suo UK Data Explorer, James Trimble propone altre mappe geolocalizzate in cui miscela dati pubblici "aperti", informazioni tratte da siti e social network, grafici e indicatori economici grazie a strumenti di gestione e manipolazione dei dati come Data-Driven Documents.
Altri esempi? Come non restare affascinati da una mappa interattiva come ORBIS? È un poderoso strumento di calcolo dedicato all'Impero Romano, creato da Walter Scheidel ed Elia Meeks per il Dipartimento di Digital Humanities della Stanford University. ORBIS è un luogo inedito e affascinante, una crono-macchina che ci trasporta nel 205 dopo Cristo.
Sul display appare una mappa dinamica che copre circa dieci milioni di metri quadratidi terra e mare in tre continenti. Sono stati geolocalizzati 751 siti, insediamenti urbani, strade, piste, porti, valichi, fiumi e canali navigabili. È un simulatore di viaggi, una sorta di Navigatore satellitare o la mappa Michelin dell'epoca.

Orbis
Per non parlare della mappa animata che indica all'istante la posizione di ogni singolo treno della metropolitana di Londra. La mappa è stata realizzata da Matthew Somerville grazie ad API (Application Programming Interface) che s'interfacciano al London DataStore messo a disposizione dalla Greater London Authority.


Mappa animata dei treni della metropolitana londinese
Ancora dati aperti, dunque, come quelli usati dalla Stanford University per raccontare ascesa e caduta della stampa americana, a cominciare dal 25 settembre del 1690, quando a Boston vide la luce il mensile "Publick Occurrences Both Forreign and Domestick", edito dal libraio Benjamin Harris.

Sulla mappa, che si può gestire e manovrare a piacimento, scorrono trecento anni di storia dell'industria editoriale e del giornalismo USA, con più di 140mila pubblicazioni. I filtri permettono di spaziare nel tempo, circoscrivere la ricerca per nazione, città, lingua (ci sono anche i giornali in italiano), frequenza della pubblicazione (quotidiani, settimanali, mensili).

Mappa newspapers USA
C'è anche una mappa interattiva che documenta il commercio mondiale di armi leggere e munizioni tra il 1992 e il 2010 in 250 paesi. Basta sfogliare la mappa e mettere in relazione le cifre con la recrudescenza dei conflitti locali per rendersi conto delle implicazioni geopolitiche del business delle armi per "usi civili". Arms Globe è un'iniziativa di Google Ideas, in collaborazione con il Peace Research Institute norvegese e con l'Institute Igarapé brasiliano.

L'Italia e il commercio di armi

Infine c'è il progetto Check-in Europe della Fondazione GaragErasmus, la mappa interattiva degli studenti Erasmus alla quale hanno già aderito circa 7500 studenti ed ex studenti di una delle più belle e utili iniziative dell'Unione Europea. Il sito permette a quanti stanno frequentando (o hanno frequentato) corsi Erasmus di restare in contatto tra loro, scambiarsi esperienze, dar vita a progetti comuni, relazionarsi con il mondo del lavoro.



Generazione Erasmus
E l'Italia? Gli Open Data sono ancora poca cosa. Rare le pubbliche amministrazioni che rilasciano dati in formato aperto. Siamo agli inizi. Quando le informazioni saranno disponibili, anche la mappa italiana si vivacizzerà.
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Dog translator project raises funds to put pet’s thoughts into English

Dog translator project raises funds to put pet’s thoughts into English


A group of Scandinavian boffins have gathered enough money through crowdfunding to try and bridge the gap between animals and humans by producing a gadget that can translate what a dog is thinking into plain English.
They claim that a new invention from Sweden, No More Woof, will be able to translate a dog’s thoughts into words.
A headset will be strapped to the animal’s head. The device will read EEG signals from the dog’s brain and software will then attempt to translate those thoughts into English.
The gadget will use a small Raspberry Pi computer to make the translations. It is the brainchild of theNordic Society for Invention and Discovery; the firm has also invented a rocking chair which can charge an iPad and a hover lamp that can shadow you from room to room.
But No More Woof keeps the distillation of your pet’s thoughts simple. The idea that it literally ‘translates your dog’s thoughts’ is a little short of the truth. In fact the software aims to translate rather simple thought processes like “I am tired” or “I am hungry”, something that dogs have been able to communicate to their owners since they first became domesticated.
However if you are worried that you and your dog are not communicating properly No More Woof is on sale from April 2014 for $600 and will also be available in Spanish, French and Mandarin. But its makers do warn you that they are Scandinavian so don’t expect completely perfect English.
The project was developed on a shoe string, which was largely raised from donations. They have already managed to raise $16,000, way beyond their initial target of $10,000.
The inventors say they deliberately set the amount they needed to get the project off the ground as low so as not to get people’s hopes up. They stress that this is still very much a work in progress and in no way will be mass produced.
They admit that their project is still in its infancy and that it needs a lot of support and development.
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26 Hilarious French Translations Of Hollywood Movie Titles

26 Hilarious French Translations Of Hollywood Movie Titles

Hollywood movie titles in France are often given easier English substitutes to make them more accessible to French audiences, instead of simply being translated into French. Don’t ask me why. Just enjoy.