La Cina finanzia le traduzioni, ma solo quelle innocue
La Cina finanzia le traduzioni, ma solo quelle innocue
L’avvertimento è stato lanciato da un piccolo editore milanese. Con un testo sul portale culturale Doppiozero, poi ripreso da China Files, Andrea Berrini (di Metropoli d’Asia) ha segnalato infatti «proposte allettanti di provenienza cinese: contributi di traduzione, pubblicazione e marketing. All’apparato degli Istituti Confucio, presenti in tutto il mondo e già da tempo intenti a promuovere cultura cinese all’estero, si affiancano mucchietti di soldini gratis che favoriranno la diffusione della letteratura, contemporanea e classica, del Paese di Mezzo». Fin qui poco male, anzi: per dire, anche la Corea del Sud — per restare in ambito asiatico — finanzia la pubblicazione all’estero di suoi autori, linea benemerita che evita la prassi discutibile (a volte inevitabile) di tradurre in italiano traduzioni inglesi o francesi. Berrini però aggiunge: Pechino dà aiuti solo per autori che appartengono alle Associazioni degli scrittori affiliate al Partito comunista. Per chi ne è fuori, nulla. Se si vuole tradurre qualcuno, a prescindere dal valore letterario, non arrivano contributi. Per un’editoria in difficoltà, fa differenza.
ASSOCIAZIONI SCRITTORI Pechino propone e dispone. Berrini cita il caso della sua casa editrice, che in Italia pubblica autori di peso come Han Han o il coreano Kim Young-ha: «Abbiamo accettato volentieri un nome interessante della generazione di Yu Hua e Su Tong, per intenderci, bravo ma meno conosciuto. Poi abbiamo ribaltato la situazione: abbiamo fatto noi due nomi di autori» fuori dalle Associazioni degli scrittori. Risposta: niente da fare. In via riservata altre tre case editrici confermano al Corriere meccanismi analoghi. Il criterio è l’adesione al sistema (un po’ alla Mo Yan, Nobel 2012), non il rango estetico.
PICCOLI EDITORI La situazione ricorda quanto accade con gli Istituti Confucio, preziosi nella generale asfissia, ma appunto emanazione di Pechino: ogni iniziativa che tocchi temi sgraditi non è semplicemente contemplata. Ai colleghi il piccolo editore dunque chiede: che facciamo? La risposta per ora non è data e si immagina ardua. Più chiari sono i termini della questione proiettati sullo sfondo della seconda potenza mondiale: la Cina è legittimamente orgogliosa di sé, ma se si tratta di voci dissonanti resta goffamente timorosa.
Reply to this post
Posta un commento