Il Galateo spiegato agli americani. Monsignor Della Casa in versione 2.0
Il Galateo spiegato agli americani. Monsignor Della Casa in versione 2.0
ROMA – Il Galateo spiegato agli americani. Nuova traduzione da Monsignor Della Casa. Mangiare con forchetta e coltello a tavola, evitare di sputare o altre spiacevoli evacuazioni in sala da pranzo, fornicare con la serva, ma anche sorvegliare i piatti degli altri, fare le pur doverose abluzioni in pubblico, leggere la posta personale in compagnia, irridere gli altrui difetti…Oggi ci sembrano raccomandazioni scontate, chi osasse orinare nel vaso di fiori davanti a tutti sarebbe arrestato per atti osceni in luogo pubblico. Ma l’evoluzione del gusto, il codificarsi dei comportamenti signorili è un lungo processo culturale cui le nazioni si sono conformate attraverso diversi stadi di accettazione. Il punto fermo, in ogni caso, almeno per l’etichetta occidentale, resta “Il Galateo, overo de’ costumi” di Monsignor Giovanni Della Casa, anno di grazia 1558, quando da nunzio apostolico l’elegante prelato serviva il Papa a Venezia.
Una nuova importante traduzione uscita negli Stati Uniti, a cura di M.F. Rusnak (Galateo. Or the Rules of Polite Behavior, University of Chicago Press) recensita dal New York Times, ripropone l’affascinante questione della nascita della moderna concezione della raffinatezza, o del condursi correttamente in società. Secondo il curatore, la grande novità, il messaggio di Della Casa è sintetizzabile in questa formula: “Non essere disgustoso”. Non fare schifo è la condizione per consentire modelli di urbanità e promuovere maniere incivilite. Insomma, per il nostro stesso interesse, è preferibile omettere anche il lavaggio in pubblico delle mani per non richiamare alla mente degli astanti indiscrete precedenti sozzerie. Tra le “cose laide e da non fare”:
Percioché non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice; e non pure il farle et il ricordarle dispiace, ma eziandio il ridurle nella imaginazione altrui con alcuno atto suol forte noiar le persone. E perciò sconcio costume è quello di alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia. Similmente non si conviene a gentiluomo costumato apparecchiarsi alle necessità naturali nel conspetto degli uomini; né, quelle finite, rivestirsi nella loro presenza; né pure, quindi tornando, si laverà egli per mio consiglio le mani dinanzi ad onesta brigata, conciosiaché la cagione per la quale egli se le lava rappresenti nella imaginazion di coloro alcuna bruttura. E per la medesima cagione non è dicevol costume, quando ad alcuno vien veduto per via (come occorre alle volte) cosa stomachevole, il rivolgersi a’ compagni e mostrarla loro. E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni soglion fare con grandissima instanzia, pure accostandocela al naso e dicendo: – Deh, sentite di grazia come questo pute! –; anzi doverebbon dire: – Non lo fiutate, percioché pute –. E come questi e simili modi noiano quei sensi a’ quali appartengono, così il dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar ferro spiace agli orecchi, e deesene l’uomo astenere più che può.
Chi abbia più dimestichezza con la lingua inglese potrà avvantaggiarsi della lettura della traduzione in inglese moderno e comprensibile. Ma non faccia l’errore di considerare il Galateo solo un manuale di buone maniere o di come si apparecchia la tavola di un signore. La rivoluzione gentile impone le regole della vita in città, accende il moderno con i colori tenui di conversazioni delicate, di nuove virtù che inducano gli uomini a essere “appropriati, piacevoli ed educati”. Ma non bastava essere leali e generosi? Sì, forse, ma è più facile e redditizio, per una buona convivenza, intanto godere del vantaggio delle buone maniere. Il rischio dell’ipocrisia è in agguato, ma non è forse l’ipocrisia l’unico vizio che omaggi la virtù?
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