Lost in translation – Percorsi

Lost in translation – Percorsi

Seconda puntata sul mestiere del traduttore (dopo quella dedicata alla traduzione della Donna del fango di Joyce Carol Oates). L’ospite si chiama Ilaria Vitali, è nata a Ferrara nel 1979, ha studiato a Bologna e alla Sorbonne di Parigi, specializzandosi nella traduzione dal francese e, in particolare, nelle opere di scrittori immigrati in Fracia da Paesi di lingua francese. Con l’editore Giulio Perrone ha contribuito alla diffusione delle opere di Saphia Azzeddine, franco-marocchina definita «una scrittrice in un corpo da modella» e autrice di Mio padre fa la donna delle pulizie (2011).
Anche Ilaria nel tempo si è cimentata nella scrittura di un’opera di narrativa, A tua completa traduzione (0111 Edizioni, pagg. 172, 14,50 euro), storia di (manco dirlo) una traduttrice che vive in un appartamento tra i tetti di Parigi il cui passato la viene a trovare nelle sembianze di un’anonima cassa di legno. Qui però è intervenuta in qualità di traduttrice.
Perché ha scelto di fare la traduttrice?
«Ho incominciato un po’ per gioco. Ero al secondo anno di dottorato e avevo scoperto il romanzo d’esordio di un’autrice franco-gabonese, Bessora, che mi aveva stregato. Il romanzo, 53 centimetri, era un condensato di giochi di parole, code switching da una lingua all’altra, riferimenti costanti a realtà e culture sconosciute in Italia. In una parola: intraducibile. Tanto per complicare le cose, Bessora era stata definita dalla critica la nipotina di Queneau e Jarry. Penso che sia stata la sfida di una “traduzione impossibile” ad attrarmi per prima e devo ammettere che il lavoro non è stato facile. Ma gli sforzi sono stati premiati: la traduzione è stata pubblicata, da Epochè Edizioni, ed è stata finalista al Premio Monselice per l’Opera Prima di un traduttore. È lì che ho capito che la traduzione non era per me un amore passeggero, ma una passione autentica».
Di quali generi si occupa e quali sono le sue lingue?
«Traduco quasi unicamente narrativa, con un interesse particolare per gli autori migranti e postcoloniali. Ho la fortuna di lavorare con editori che mi hanno sempre dimostrato fiducia: quasi tutto quello che ho tradotto viene da una mia proposta. Traduco dal francese all’italiano, ma poiché i “miei” autori non sono quasi mai d’origine francese  fanno spesso uso di una lingua molto particolare lontana da quella standard. È questa la difficoltà maggiore nella resa italiana».
Come si diventa oggi traduttori?
«In molti modi. Il mio consiglio è di iscriversi a buone università e di non limitarsi alla laurea, ma proseguire con master, dottorati, corsi di perfezionamento. In Italia, a Trieste e Forlì ci sono ottimi centri per chi vuole occuparsi di traduzione. Poi, come per tutte le cose, il percorso universitario da solo, per quanto eccellente, non basta. Al giorno d’oggi, penso sia d’obbligo trascorrere un periodo all’estero, e in generale “esporsi” molto alla lingua da cui si traduce, tramite Internet, film, radio, TV, giornali, libri. E soprattutto bisogna essere dei lettori forti, perché il traduttore editoriale è prima di tutto un lettore».
Come si fa a essere sicuri di avere colto in pieno lo spirito dello scrittore?
«Documentandosi. È importante conoscere tutta l’opera dell’autore al di là del romanzo che si sta traducendo. Oltre a lavorare come traduttrice, io sono assegnista di ricerca al Dipartimento di Lingue, letterature e culture moderne dell’Università di Bologna. Ho tradotto autori che conosco a fondo, spesso anche personalmente, e a cui ho potuto dedicare gran parte del mio tempo anche come studiosa. Capisco che questo non sia sempre fattibile, ma non di rado un traduttore è chiamato a lavorare su più opere dello stesso autore, diventando così la sua “voce” italiana».
Quali sono gli autori meglio tradotti nella suo «campo» e quali consiglia di leggere?
«Restando nel contemporaneo estremo, consiglio la “versione italiana” di Everything is illuminated di Jonathan Safran Foer, tradotto da Massimo Bocchiola per Guanda. È un testo davvero complesso, per mille ragioni, di traduzione e non, e non posso che provare ammirazione, oltre che per l’autore, per il suo traduttore, che ha del resto un’enorme e riconosciuta esperienza. Un altro romanzo che per me è stata una sorta di “Bibbia” per la resa dei giochi di parole e delle espressioni argotiche, è Allah superstar di Y.B., tradotto da Lorenza Pieri per Einaudi».
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fonte: http://bookfool.vanityfair.it