Doppiaggio: il cinema tra burattini e fantasmi


Doppiaggio: il cinema tra burattini e fantasmi


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Finalmente l’annosa questione del doppiaggio è salita prepotentemente alla ribalta grazie a un articolo de La Repubblica che segnalava come al cinema Barberini di Roma la versione originale dell’ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, avesse incassato di più rispetto a quella dotata di familiari voci italiane.


È così scoppiato il dibattito che vede contrapposti gli amanti del cinema goduto ed esperito nel formato più vicino a quanto previsto dai realizzatori e i fautori del compromesso storico di quella che si potrebbe definire ironicamente come l’arte dei burattini cinematografici.
Il sottoscritto si dichiara fervido amante dei sottotitoli (per i quali nutro una passione insana, arrivando persino a sovrapporre stringhe di testo in inglese su capolavori del passato italico, con effetti stranianti à la Brecht o à la Ionesco) ma comprende – o meglio, si sforza di comprendere – le ragioni degli avversari.
Perché in fondo è vero, esistono dei casi in cui il doppiaggio sembra essere l’unica soluzione praticabile: provate voi, ad esempio, a seguire gli scambi alla velocità della luce di un moderno adattamento di Shakespeare su grande schermo. Vi verrà il mal di testa, è garantito (ci ho provato con il Falstaff di Orson Welles e ho dovuto desistere).
Un caso ancora più inusuale, ma più noto al grande pubblico, è quello che riguarda film dotati di attori di scarso spessore: si prendano i primi exploit di Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone. Sono atroci, ai limiti del cagnesco, e bisogna rendere merito ai doppiatori di essere riusciti a dare consistenza e credibilità a delle voci zoppicanti, stentoree e ridicole. Eppure…
Eppure sono proprio quelle le voci dei due attori e non c’è scusante che regga per la sostituzione delle loro corde vocali, spontanee e non impostate, con quelle di professionisti che stanno comodamente seduti in sala di registrazione. Non si pensi che invece il sonoro originale di un film avvenga tutto in presa diretta (è una chimera irrealizzabile), ma cerchiamo di immaginare cosa voglia dire pronunciare delle battute con l’affanno derivante dalla fatica di una corsa, o gravati dal dolore di un vero colpo subito (e parliamo di mera fisicità, senza entrare nel vasto e complesso campo delle emozioni): queste sensazioni sono impossibili da replicare per chi non ha girato la pellicola. Sono due esperienze incommensurabili che per qualità e natura non possono essere minimamente equiparate, nemmeno quando vengono ricreate a freddo dagli attori originali in cabina di doppiaggio.
Una freccia all’arco dei compromessi è quello dello scoglio della fedeltà, della traducibilità di un concetto da una lingua all’altra. È vero: anche la sintesi compiuta dal sottotitolo si scontra con questa difficoltà, e si tratta di perdite a volte non da poco. Ma vogliamo davvero paragonare l’assenza della volontà del regista, espressa nella scelta al montaggio di un certo ciak e di una certa interpretazione, con il piccolo fastidio della riduzione minima di senso operata dal sottotitolo? Esistono infinite sfumature in una voce, una gamma sonora immensa che – è questo il bello della varietà del mondo – a volte sono consustanziali agli idiomi dei diversi Paesi.Sarebbe davvero una grave perdita non sapere in che modo ringhia uno yakuza impegnato in una rissa, o come sussurra una ragazza cinese innamorata. Mi chiedo, allora: è ragionevole perdersi, per una mera ragione di pigrizia, la calata degli Stati Uniti del Sud, la parlata degli schiavi neri, l’inglese germanizzato del Dottor Schulz in Django Unchained?
O forse preferiamo accontentarci di certi abomini della favella filmica (un altro punto saliente, che cozza con la supposta magnificenza della scuola italiana del doppiaggio): accenti russi degni dell’espressione verbale di un minorato, personaggi stranieri che sembrano usciti da uno spettacolo del Bagaglino, equivoci linguistici completamente azzerati dall’appiattimento dell’eterogeneità linguistica (un enigma classico: poniamo che in un film doppiato dei francesi arrivino in Italia e cerchino di parlare con dei locali, come faremo allora ad avvederci dell’incomprensione nel caso in cui entrambe le parti utilizzino lo stesso strumento di Dante Alighieri?)
Per andare ancora più a fondo vi consiglio questo esperimento: se siete in possesso di unabbonamento a una tv satellitare provate a visionare un film passando dalla versione doppiata all’originale e viceversa. Vi accorgerete immediatamente di quanto sia povero il sonoro dell’opera in italiano, in special modo perché privo di tutta una serie di rumori di fondo che contribuiscono a creare quell’universo narrativo abitabile e accogliente in cui così spesso ci piace immergerci. Altre volte invece questo aspetto viene mantenuto, ma con effetti involontariamente comici: avete mai provato ad ascoltare il tipico brusio di un commedia americana? I protagonisti parlano in italiano, ma le comparse di contorno interloquiscono (per quanto indistintamente) in inglese!
Vi lascio infine, del tutto certo di non aver toccato che una minima parte del problema, con una considerazione del tutto personale. Nella stragrande maggioranza dei film, o almeno dei film che posso ritenere compiuti e memorabili, il dialogo non ha una parte preponderante all’interno di quella delicata alchimia che è composta dalle immagini, dai suoni, dai tagli di inquadrature, dal montaggio, dalle performance attoriali. Il senso delle azioni che si susseguono sul grande schermo è facilmente comprensibile con una certa attenzione alla storia e alle dinamiche tra i personaggi e le battute davvero significative (perché latrici del senso dell’opera e perché indispensabili alla drammaturgia) si contano spesso sulle dita di due mani e due piedi.
Il cinema è davvero un mezzo di espressione complesso e variegato: ma non si deve intendere ciò come un’allusione alla supposta difficoltà e oscurità dei film più ricercati, quanto piuttosto al grande potenziale insito in un linguaggio che ha dato e può ancora dare tanto al mondo.
fonte: http://www.terzobinario.it/doppiaggio-il-cinema-tra-burattini-e-fantasmi