l lavoro dimenticato dei traduttori editorialil lavoro dimenticato dei traduttori editoriali

 di Giulia Cimpanelli
“La previdenza? Anche a volerla pagare non avremmo un ente dedicato,nemmeno l’Inps considera la nostra categoria professionale”, a pronunciare queste parole è Giordano Vintaloro, traduttore editoriale(quelli che traducono esclusivamente libri, ndr) e segretario di Strade, il sindacato della categoria.
Associazione che in realtà non riesce a far molto per questi lavoratori: “La nostra professionalità non è riconosciuta in Italia; – prosegue – oltre a non essere tutelati e a vedere i compensi delle case editrici calare vertiginosamente, non sappiamo a chi versare i contributi: ci siamo rivolti al Governo e all’Inps ma non veniamo ascoltati”.
Dei professionisti che si trovano a lavorare da freelance con compensi da miseria, che non permettono né di mantenersi né di aprire una partita Iva: “Non supero i sei o sette lavori all’anno – racconta Alice Gerratana, trentatreenne palermitana – e se in passato i colleghi venivano retribuiti a cartella (testi da duemila battute, ndr) ora sempre più spesso siamo pagati a forfait”.
Forfait che spesso equivale a un compenso di tre quattro euro a cartella: “Per l’ultimo libro che ho tradotto mi hanno pagata 1.200 euro lordi, ma ho lavorato per due mesi a tempo pieno”.
Non stupisce dunque che il 59,3% dei traduttori editoriali, come si evince dalla ricerca “Dalla parte dei traduttori” di Slc Cgil e Ires Emilia Romagna, guadagni meno di 15 mila euro lordi all’anno. Il 55,5% ha un’età compresa tra 25 e 39 anni e tra loro le donne superano l’80%, una presenza record rispetto al dato nazionale del 41% di occupazione femminile.
Ma queste percepiscono una retribuzione lorda annua inferiore ai 15mila euro, quasi ventotto punti percentuali di differenza a svantaggio della componente “rosa”.
Una situazione quasi insostenibile per esperti di un settore che presuppone anni di studio e continui aggiornamenti: “Una realtà che è un misto di passione, insoddisfazione e frustrazione  – commenta la sociologa dell’Ires Florinda Rinaldini – anche perché il 90% di loro deve integrare il reddito con un’altra occupazione che spesso diventa la primaria, sia a livello economico che temporale”.
Lavorano in regime di diritto d’autore, pagati con una ritenuta d’acconto “del 20% sul 60 del compenso per chi ha meno di 35 anni”, aggiunge Gerratana. Per un lavoro, inoltre, che risulta caratterizzato da ritmi serrati, scadenze prefissate e poco flessibili che portano spesso al superamento della soglia convenzionale delle 40 ore settimanali.
Ma quando descrivono la loro professione, tra i traduttori prevale la risposta: “E’ un mezzo per realizzare te stesso”. Perché la passione per ciò che si fa, spesso, arriva a superare l’amor proprio.

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