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Come evolve la traduzione: la relazione tra arti e consuetudini sociali diverse

Un convegno internazionale nell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria sul tema della traduzione. Ospiti di diverse provenienze parleranno di lingue, stili, culture e linguaggi espressivi che si intrecciano.


“Tradition, Translation, Transformation” è il nome del Convegno internazionale che si tiene il 5 e 6 maggio nell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria per iniziativa della Japan Society for the Promotion of Science (all'interno di un programma della Tokyo University of Foreign Studies), del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna e del Laboratorio di ricerca sulle città dell'Istituto di Studi Superiori, con la collaborazione dell'Istituto di Studi Avanzati dell’Università di Bologna.

Il convegno, terzo appuntamento di un ciclo tematico dedicato alla “trasformazione” come fenomeno legato all’attraversamento delle lingue e delle culture, ospita specialisti di varie nazionalità operanti non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, nella Federazione Russa, in Svizzera e in Giappone a confronto con diversi campi di studio: letteratura, traduzione, architettura, cinema, danza, teatro.

Se la prima sezione, “I dolori del giovane traduttore”, è dedicata alla pratica della traduzione letteraria, soprattutto nelle aree linguistiche tedesca, inglese, giapponese e italiana, la seconda, “L'incontro con l'Altro”, affronta la molteplicità dei linguaggi e dei contesti, concependo la traduzione come tendenza alla trasformazione dei codici percettivi dell'esperienza estetica. La terza sezione, “Looking East, Looking West”, esplora i rapporti culturali, non solo letterari, tra Giappone, Russia e Germania, mentre le sezioni conclusive analizzano la frontiera della traduzione come esperienza creativa, continuamente in tensione tra il raggiungimento di una lingua universale e il senso del limite, dell'inconoscibile, dell'incomunicabile.
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Cinema: Luca Ward miglior doppiatore al Vittorio Veneto Film Festival

Cinema: Luca Ward miglior doppiatore al Vittorio Veneto Film Festival

Manca ormai poco all'inizio della 5* edizione del Vittorio Veneto Film Festival-Festival Internazionale di Cinema per Ragazzi che da anni si tiene nella cittadina trevigiana. Da martedi' 8 aprile a domenica 13 aprile 1.500 giovani giurati, con un'eta' compresa tra i 6 e i 25 anni, visioneranno 12 lungometraggi internazionali in anteprima assoluta per l'Italia e ne decreteranno il vincitore. Gli organizzatori della manifestazione, interamente rivolta al mondo giovanile, hanno voluto assegnare al noto doppiatore italiano Luca Ward il riconoscimento di Miglior Doppiatore della 5* edizione. Questo desiderio nasce dalla considerazione che il doppiaggio e' sicuramente una delle parti predominanti per la cinematografia in Italia; la qualita' del doppiaggio italiano e' visto dal resto del mondo, come uno dei migliori e di grande valore. Doppiatore e direttore del doppiaggio, da un'inconfondibile voce calda e profonda, Luca Ward ha iniziato la sua attivita' di attore all'eta' di tre anni e sotto la guida di Pino Locchi ha intrapreso la sua lunga carriera nel mondo del doppiaggio, prestando la sua voce a Sean Connery, Pierce Brosnan, Samuel L. Jackson, Keanu Reeves, Russell Crowe, Antonio Banderas, Hugh Grant, Gerard Butler, Jean-Claude Van Damme, Kevin Costner, Brandon Lee, James Woods e tanti altri. ''Un professionista che ha lasciato il segno nel mondo della cinematografia; un attore che ha dato voce ai maggiori attori statunitensi, rendendo i personaggi e le loro battute memorabili in Italia; un artista che attraverso la sua voce ha fatto emozionare, sognare e rallegrare numerosi spettatori, segnando la memoria filmica di molti di noi'', cosi' Gennaro Viglione - Vice Direttore del vvfilmf - commenta l'annuncio del Premio Miglior Doppiatore a Luca Ward, riconoscimento che verra' conferito sabato 12 aprile durante il Gala di Premiazione, condotto da Francesca Rettondini, dell'attesissima 5* edizione del Vittorio Veneto Film Festival.
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HER VS LEI, QUANDO IL DOPPIAGGIO FA MALE

HER VS LEI, QUANDO IL DOPPIAGGIO FA MALE


Her vs Lei: il bel film di Spike Jonze, con i protagonisti Scarlett Johansson e Joaquin Phoenix, è stato snaturato da un discutibile doppiaggio. Ecco come

Si dice che durante la sessione di doppiaggio de Heat – La sfida Ferruccio Amendola si fosse arrabbiato con il direttore della versione italiana perché non gli lasciò prestare la voce sia a Robert De Niro che ad Al Pacino, due attori che prima di allora aveva sempre interpretato. “Ma se ne accorgeranno che sei sempre tu!”, avrà protestato il direttore del doppiaggio. “Macché”, avrà risposto Ferruccio, “le faccio diverse”. Questo per dirvi chi erano i doppiatori italiani: quelli che, durante una discussione con qualche amico straniero, potevi sempre tirare in ballo per elencare l’ennesima, sicura eccellenza nostrana. E quelli che oggi, purtroppo, stanno lentamente scomparendo. Non lo diciamo noi, ma i fatti: la richiesta di film in lingua originale sta aumentando, spesso e volentieri per ridoppiare attori vengono chiamati personaggi dello spettacolo (che non sono né attori, né professionisti della voce) e le major, ovvero le potenti produzioni americane, sono sempre più libere, da contratto, nello scegliere le voci dei loro interpreti.

Non faremo di ogni film doppiato male un caso, piuttosto affronteremo l’argomento parlando di una pellicola in particolare, uscita al cinema proprio in questi giorni, vincitrice di un Oscar (per la Miglior Sceneggiatura) e diretta da uno dei registi più visionari degli ultimi vent’anni. Stiamo parlando di Her, italianizzato Lei, film di Spike Jonze, che in Italia, com’è già successo per Django Unchained e per The Wolf of Wall Street, è stato distribuito anche in originale (65 copie, circa un terzo del totale). La giustificazione che tantissimi – giornalisti, spettatori, cinefili e addetti ai lavori – hanno usato è: c’è Scarlett Johansson e la gente vuole sentire la sua voce. Forse, in minima parte e in modo del tutto marginale, è così: è per sentire la voce della donna che ha vinto anche il premio di Miglior Attrice all’ultimo Festival di Roma per questo ruolo che Lei è stato proiettato anche in inglese, con sottotitoli in italiano. È poi anche vero che la pubblicità eccessiva di chi l’avrebbe sostituita ha ottenuto l’effetto contrario a quello sperato: Micaela Ramazzotti, scelta come voce italiana dell’OS Samantha, non è una doppiatrice e, cosa ancora più importante, non è la doppiatrice “storica” di Scarlett Johansson (ruolo rivestito quasi a turno da Perla Liberatori e da Domitilla D’Amico).

Ci sono anche altre questioni legate al doppiaggio, più grandi e più generali: anche in Italia la lingua originale si sta ritagliando il suo posto al sole. Una volta i doppiatori riuscivano a migliorare il prodotto finale. Il film, grazie a loro, ne guadagnava: in spessore, espressività ed emotività. Oggi questo esercizio è difficile, quasi inarrivabile per le nuove leve. Il film di Spike Jonze è quasi un altro in lingua originale. E il discorso non riguarda solo Samantha o Theodore; riguarda tutti gli attori, tutte le voci. Nel quadro dipinto dal pittore Jonze non c’è spazio per le incertezze. La sceneggiatura, anch’essa firmata dal regista, fa delle scelte precise: si dicono cose precise. E sbagliare anche di poco non è accettabile. I lunghi silenzi, i primi piani assoluti, gli ambienti e le luci, il colore della fotografia, il suo calore, riducono al minimo le battute, rendendole essenziali. E se le sbagli, è la fine.

Ci vuole il giusto tono (sperare di poter ricreare quello di Joaquin Phoenix, uno degli attori più bravi e capaci del panorama contemporaneo, in poco tempo è assurdo); ci vuole la giusta espressività (la sensualità della Johansson è una cosa rara: o ce l’hai o non ce l’hai); e ci vogliono le giuste pause. Che come nella musica sono fondamentali, più importanti ancora dei suoni delle parole. In Her versione italiana un po’ di tutto questo manca. E ve ne accorgerete anche se non avrete visto prima Her in lingua originale: vi aspetterete nella voce di Samantha/Ramazzotti un mormorio che non ci sarà; nella voce di Theodore un’esitazione che mancherà; e in quella degli altri interpreti una complicità essenziale, quasi spontanea, che puntualmente (purtroppo) mancherà. Il doppiaggio non sarà finito: ci sono ancora grandi, grandissimi doppiatori in giro e certamente non sta a noi farne i nomi. Ma la versione originale ha vinto la battaglia, almeno questa.
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Lesson of the day: Székely-Hungarian Rovás

Székely-Hungarian Rovás (Hungarian Runes)

Székely-Hungarian Rovás, which are also known as Hungarian Runes, are thought to have descended from the Turkic script (Kök Turki) used in Central Asia, though some scholars believe the Székely-Hungarian Rovás pre-date the Turkic script. They were used by the Székler Magyars in Hungary until the 11th century. In remote parts of Transylvania however, the runes were still used up until the 1850s. During the 20th century there was a revival of interest in the alphabet.

Notable features

  • Type of writing system: alphabet.
  • Usually written on sticks in boustrophedon style (alternating direction right to left then left to right), although the right to left direction was most common.
  • There are separate letters for all the phonemes of Hungarian and are in this respect better suited to written Hungarian than the Latin alphabet.
  • Words were separated by three vertical dots.
  • Ligatures were often used and sometimes an entire word was written with a single sign.
  • There are no lower or upper case letters, but the first letter of a proper name was often written a bit larger.
  • Vowels were sometimes not written, unless their omission would cause ambiguity.
  • The consonants with (a) next to them were used before a, á, o, ó, u and ú, while those with (e) next to them were used before e, ë, é, i, í, ö, ő, ü, ű
  • A number of separate symbols, known as capita dictionum or the head of the words, were also used, though their usage is uncertain.

Used to write

Hungarian (Magyar), a Uralic language with about 15 million speakers in Hungary, Romania, Serbia, Ukraine and Slovakia. There are also many people of Hungarian origin in the UK and other European countries, the USA, Canada and Australia.

Székely-Hungarian Rovás

Székely-Hungarian Rovás

Numerals

Székely-Hungarian Rovás numerals

Sample texts

Sample text in Székely-Hungarian Rovás

Translation into Modern Hungarian

(Ezt) az Úr születése utáni 1501. évben írták. Mátyás, János, István kovácsok csinálták. Mátyás mester (és) Gergely mester csinálták [uninterpretable].

English translation

(This) was written in the 1501st year of our Lord. The smiths Matthias, John (and) Stephen did (this). Master Matthias (and) Master Gergely did [uninterpretable]