Sottotitolato per risparmiare

Cinema e doppiaggio sottotitolato per risparmiare

I film sottotitolati aumentano: è finita l’era dei doppiatori? Dopo le polemiche degli anni Quaranta i sottotitoli tornano più per motivi di budget che per scelta culturale. Ma per l’industria del doppiaggio la concorrenza potrebbe favorire la qualità.

La diffusione di film, anime e telefilm sottotitolati rischia di compromettere il futuro del doppiaggio? In un’epoca mediatica in cui ragazzi e adulti sono sempre più abituati a prodotti cinematografici o televisivi in lingua originale sottotitolati in italiano, viene da chiedersi se, nel giro di qualche anno, i doppiatori vedranno ridimensionato il proprio ruolo.

Secondo la torinese Olivia Manescalchi, voce – tra l’altro – di Eva Longoria in Febbre d’amore, “la diffusione di prodotti sottotitolati rappresenta un problema per il mondo del doppiaggio, anche se la tradizione italiana è di così alto livello che si mostra in grado di resistere senza problemi agli ‘attacchi’ di film e serie in lingua originale”. Ilaria Stagni, per oltre vent’anni voce di Bart Simpson, ritiene che i sottotitoli allo stato attuale non penalizzino tanto i doppiatori, quanto “la maggior parte degli spettatori: i sottotitoli sono riduttivi, e se l’occhio è impegnato a leggere si perde il resto delle immagini, cioè quel lavoro magistralmente creato da animatori, registi, attori, montatori e direttori della fotografia”.
Sulla stessa linea d’onda si pone Dario De Santis, storico direttore del doppiaggio, convinto che in Italia i film sottotitolati siano ancora “destinati a un pubblico di nicchia. In televisione non appariranno mai: ve la immaginate la leggendaria casalinga di Voghera che segue la telenovela in lingua originale mentre pulisce casa? Diverso il discorso per il cinema, ma comunque va considerata la difficoltà di leggere e al tempo stesso guardare le immagini”.

Roberto Benfenati, attore e doppiatore, ammette di essere “un consumatore di lavori in lingua originale, perché onestamente, una volta superata la barriera dell’idioma straniero, sono più piacevoli. Puoi imparare molte cose: oltre alle parole, anche le appoggiature, le intonazioni delle altre culture. Le prime volte che senti Meryl Streep parlare in lingua originale, abituato come sei al doppiaggio italiano di Maria Pia Di Meo, ti sembra stupida, perché il tuo orecchio non conosce quella corrispondenza tra voce e volto. Poi, superato il momento di iniziale spaesamento, ne rimani estasiato. Insomma, da spettatore non considero disdicevole la diffusione di prodotti sottotitolati. Da doppiatore, invece, non posso fare a meno di notare come essa abbia ripercussioni sul livello qualitativo del nostro lavoro”. Come evidenzia Ilaria Stagni, infatti, spesso i sottotitoli non sono altro che “un tentativo, ahimè, di ridurre i costi, basato non su un’attenzione reale verso lo spettatore, ma semplicemente sul desiderio di risparmiare sui costi”.

Ma si corre il rischio che lo spettatore del Belpaese si disabitui al doppiaggio? Per Olivia Manescalchi “questo pericolo è ancora lontano. Da doppiatrice non me lo auguro, ma da italiana sì: è arrivato il momento che anche da noi l’inglese venga parlato da tutti. In ogni caso, penso che i doppiatori italiani sapranno trovare la maniera di riciclarsi, vista la loro grande professionalità, il loro enorme talento e le loro meravigliose voci”. Anche per Benfenati, non c’è il rischio che gli spettatori abbandonino i film doppiati privilegiando quelli sottotitolati: “Anzi, questa ‘concorrenza’ potrebbe favorire una maggiore capacità di discernimento, facendo sì che vengano apprezzati solamente i prodotti doppiati con qualità. Non saranno i sottotitoli a condannare il nostro mestiere. Sarebbe come dire che la cucina italiana cadrà in declino perché si sta diffondendo il sushi: no, se la cucina italiana cadrà in declino sarà solo colpa della sua (eventuale) scarsa qualità. Ecco perché noi doppiatori non dobbiamo combattere i sottotitoli, ma la caduta qualitativa cui il nostro lavoro viene sottoposto ogni giorno di più”.

E su questo, i doppiatori sono tutti d’accordo. De Santis precisa: “Il fatto è che i tempi di lavorazioni sono sempre più bassi. Le consegne Rai in questo senso sono leggendarie, e magari poi succede che il prodotto consegnato in tutta fretta con il massimo dell’urgenza vada in onda un anno dopo. Il nostro settore è in crisi, come l’intera azienda Italia. Per fortuna i canali tv hanno sempre bisogno di nuovi prodotti, ma la percentuale di merce riciclata per coprire il palinsesto si alza sempre di più”.
Benfenati parla di “doppiaggese” in riferimento ai prodotti televisivi (reality show, factual, eccetera) di importazione con voice over (cioè lasciando, al fianco del doppiaggio, anche la voce originale): “Viene realizzato per risparmiare tempo e denaro, nel senso che è meno curato e quindi richiede lavorazioni più brevi. E’ però un doppiaggio che trasmette solo il significato, non le emozioni. La conseguenza è un appiattimento qualitativo tremendo: sembra di assistere ai doppiaggi che si fanno in Bulgaria, dove nei film tutte le voci maschili vengono doppiate da un solo uomo e tutte le voci femminili da una sola donna. D’altre parte le case di produzione sono ‘impiccate’ a causa dei tempi: la qualità diminuisce, la professione del doppiatore si avvicina pericolosamente a quella di un operaio in catena di montaggio, e così anche gli spettatori hanno aspettative inferiori”.

Il doppiaggio, insomma, non deve temere i sottotitoli, ma unicamente sé stesso: solo il progressivo abbassamento degli standard qualitativi porterà lo spettatore italiano ad allontanarsi dai prodotti doppiati.

Reply to this post

Posta un commento