Kiarostami riabilita il doppiaggio: “Aiuta ad avvicinarsi al film”


Kiarostami riabilita il doppiaggio:
“Aiuta ad avvicinarsi al film”


Abbas Kiarostami, 72 anni

Il regista iraniano, già Palma d’oro
a Cannes: «Il cinema è immagine, non lettura. L’originalità? Tutto è costruito: le case, i vestiti, gli amori»
FRANCESCO RIGATELLI
Ha la tranquillità di chi è padrone del suo mestiere, un copione mandato a memoria col tempo tanto da prevedere ogni improvvisazione. Porta occhiali alla Onassis, la camicia bianca sotto il maglione grigio e la giacca nera, scarpe da camminatore. Il regista iraniano Abbas Kiarostami, 72 anni, lo incontriamo in una serata milanese prima che parta per Roma e poi per Teheran, la sua città che non ha mai lasciato nonostante successi internazionali come la Palma d’oro a Cannes per Il sapore della ciliegia. E’ ospite di un progetto culturale delle Officine dell’Istituto europeo di design, della rivista Ciak di Piera Detassis e di Disaronno. Incontra gli studenti di cinema, si confronta col regista Silvio Soldini e col direttore della fotografia Luca Bigazzi. Fa due passi con noi verso il ristorante dove scopriamo gli piace la bruschetta.  

Per quanto uno possa essere appassionato di film, chiacchierare con Kiarostami non sembra semplice anche se poi lo è. Pure Soldini rimane senza parole. D’altra parte per Jean Luc Godard, l’ultimo esponente della Nouvelle vague, il cinema inizia con David Wark Griffith e finisce con Kiarostami. Naturale un po’ di soggezione. La stessa che Nanni Moretti sublimò nel suo corto “Il giorno della prima di Close up” al cinema Nuovo Sacher di Roma, dove per il nervosismo di proiettare il film del regista iraniano esaminava i tramezzini del bar e suggeriva alla cassiera come spiegare che era in lingua originale. A proposito, al regista iraniano non piaceva il doppiaggio ma ha cambiato idea: «Aiuta ad avvicinarci al film. I sottotitoli sviano dagli occhi degli attori. Il cinema è immagine non lettura. I cinefili tengono all’originalità, ma cosa lo è? In un film tutto è costruito: le case, i vestiti, gli amori». 

Dunque Kiarostami se è un mito lo è, lo è di semplicità. Su un marciapiede di Milano gli domandiamo cosa sia il cinema e lui risponde sorridendo: «Parte del mio lavoro». Ed è anche vero perché lui si dedica pure alle fotografie, che ha esposto al Louvre e tra poco a Honk Kong. E da giovane voleva fare il pittore più che il regista, «poi è successo, ma non l’ho scelto». La fotografia c’entra anche col suo ultimo film, Qualcuno da amare, che esce il primo maggio: «Se un giorno di 18 anni fa a Tokyo avessi avuto una macchina fotografica non l’avrei mai girato. Invece ho voluto salvare col cinema l’immagine che mi si impresse nella mente di una prostituta vestita di bianco in una strada di uomini d’affari in abito scuro». Nel film, la giovane giapponese va in taxi a casa di un vecchio che l’ha chiamata, mentre la nonna la cerca al telefono lasciandole diversi messaggi. «E’ stata la sequenza più difficile della mia vita. Avrei voluto girarla in una piazza con una ripresa unica e vorticosa, ma in Giappone non ci sono piazze».  

Per scegliere gli attori, Kiarostami ha incontrato uno dei protagonisti di Akira Kurosawa, Tatsuya Nakadai: «Mi disse: recito da 50 anni davanti alla cinepresa, come puoi chiedermi di essere naturale? Risposi: se riesci chiamami, intanto torno a Teheran. Alla fine scelsi il protagonista ottantaquattrenne tra le comparse. Uno che mi disse: sono 50 anni che recito e non parlo mai. A metà film ha capito di essere il protagonista. Non gliel’avevo detto. Non è necessario che gli attori sappiano cosa succederà in un film, come noi esseri umani non conosciamo il domani. Per questo le mie sceneggiature si realizzano durante la lavorazione e non le comunico prima. Solo così gli attori mi portano oltre. A un certo punto nel film il vecchio e la ragazza si trovano in una stanza. Non sapevano nulla. Lui mi si avvicina: va bene improvvisare, ma se è una scena erotica non sono capace». 

Kiarostami cova due film: «Uno in Iran, ma tira aria di guerra, e uno in Italia, magari in Puglia. L’atomica? Non lo sanno neanche loro se ce l’hanno - scherza -. Ma non è Ahmadinejad, se mai Khamenei… Argo di Ben Affleck sulla fuga dello scià? Un film orribile per come racconta quella storia». Scusi Kiarostami, il regista amato dai registi, ma a lei che film piacciono? «Non guardo niente. Al massimo i vecchi film. Per esempio quelli con Totò». 

fonte: http://www.lastampa.it