Interprete truffatore raggira un ricco imprenditore egiziano


Interprete truffatore raggira un ricco imprenditore egiziano


CARRARA. Si era offerto come interprete a un facoltoso imprenditore egiziano, che non conosceva una parola di italiano. Ma, tutte quelle partite di blocchi e lastre, per un valore superiore a 100mila...

Si era offerto come interprete a un facoltoso imprenditore egiziano, che non conosceva una parola di italiano. Ma, tutte quelle partite di blocchi e lastre, per un valore superiore a 100mila euro, che venivano acquistate a Carrara, ma anche in Sardegna e a Verona, in realtà, il “traduttore” le faceva arrivare direttamente alla sua azienda, in Marocco. Una truffa che è stata smascherata grazie alle indagini condotte dalla squadra anticrimine del Commissariato e che ha portato a un processo per una serie di truffe aggravate nei confronti del marocchino di 46 anni Rachidi Abdess Lem, anch’egli imprenditore del lapideo, residente da tempo nella nostra città. I fatti risalgono al 2007: lunedì il giudice Cosimo Maria Ferri lo ha condannato a 1 anno e 10 mesi di reclusione, con sospensione della pena subordinata al pagamento di una provvisionale di 10mila euro in favore dell’imprenditore egiziano (che nel processo si era costituito parte civile, assistito dall’avvocato Nicoletta Cervia), titolare di una importantissima società di import-export con sede a Shakk El Soban, zona industriale del Cairo.
L’interprete marocchino avrebbe approfittato del fatto che l’imprenditore egiziano comprendeva e parlava solo la lingua araba e che all’epoca versava in precarie condizioni di salute, a causa delle quali si sarebbe dovuto assentare dal lavoro per un lungo periodo per recarsi a Il Cairo e sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico. Durante le trattative (aventi ad oggetto la compravendita di blocchi di marmo, marmette, marmo “rouge peroi” ed altri materiali utilizzati in cava per la lavorazione del lapideo), il marocchino traduceva agli ignari venditori, in modo contrario, e favorevole unicamente per sé stesso, il contenuto delle disposizioni commerciali impartite dall’egiziano per ciò che riguardava la consegna e il ritiro delle partite di marmo. In pratica, gli affari venivano conclusi regolarmente, con il pagamento anticipato del materiale acquistato da parte della società facente capo all’egiziano, ma gli imprenditori locali e quelli sardi, in buona fede, spedivano la merce in un luogo indicato dall’interprete marocchino, che era diverso da quello richiesto dall’imprenditore egiziano. L’interprete, infatti, nel corso delle trattative, comunicava per email, un altro indirzzo per la consegna della merce. In questo modo faceva imbarcare dai porti di La Spezia e di Olbia, sempre passando per il porto di Carrara, gli ingenti quantitativi di marmo, del valore di circa 100mila euro, che, caricati su motonavi battenti bandiera maltese, sbarcavano al porto di Tangeri, in Marocco, ove se ne perdeva ogni traccia, finendo nelle sue disponibilità. L’imprenditore egiziano, dopo essersi rimesso dall’intervento chirurgico si era accorto che la merce acquistata non era stata mai recapitata, secondo le sue disposizioni, presso la sede della propria società a Il Cairo: solo allora si era reso conto dei plurimi raggiri operati ai suoi danni. Ma, nel frattempo, il 46enne marocchino aveva fatto perdere le sue tracce e lui ne conosceva soltanto il soprannome. Non gli rimaneva, pertanto, che rivolgersi, sconsolato, al Commissariato per presentare denuncia. Le indagini, effettuate anche presso gli spedizionieri e le autorità portuali, oltre che a Carrara, anche a La Spezia, Olbia e Tangeri, ha consentito di ricostruire interamente l’iter delle spedizioni .
Le disavventure giudiziarie per il marocchino non sono però finite, dal momento che dovrà presentarsi ancora dinnanzi al tribunale per rispondere anche del furto della somma di 30mila dollari che aveva sottratto, in contanti, allo stesso imprenditore egiziano all’interno di una cabina del traghetto “Moby Lines” in navigazione verso la Sardegna, durante uno dei viaggi di lavoro, approfittando dello stato soporifero della sua vittima, causato dai medicinali ingeriti in massicce dosi, assunti come terapia propedeutica all’intervento chirurgico cui avrebbe dovuto sottoporsi a distanza di alcuni giorni.