Sulle traduzioni della messa quei due futuri girati al passato
Sulle traduzioni della messa quei
due futuri girati al passato
Il servizio di www.chiesa sulla
traduzione del “pro multis” nella parole della consacrazione eucaristica, con
riprodotta la lettera scritta da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi, ha
suscitato forte attenzione e numerosi commenti.
Ecco qui di seguito una nota
inviataci da monsignor Juan Andrés Caniato, incaricato per la pastorale delle
comunicazioni sociali nell’arcidiocesi di Bologna.
“IL TRADUTTORE ITALIANO HA
SCIAGURATAMENTE PENSATO…”
I problemi di traduzione non sono
poca cosa e stanno emergendo ogni giorno di più nella loro drammatica problematicità.
Per rimanere nel rito della
messa, basterebbe pensare al “Padre nostro”: è un testo biblico o liturgico? Se
è testo liturgico, va tradotto dal latino liturgico e non dal greco, con
criteri liturgici e non biblici. “Et ne nos inducas in tentationem, sed libera
nos a malo”.
(Nel novembre del 2011 i vescovi
italiani votarono per cambiare il “non ci indurre in tentazione” in “non
abbandonarci alla tentazione”, con 111 voti contro 68 dati a “non abbandonarci
nella tentazione” – ndr).
Oppure al “Gloria”: cosa
significa “bonae voluntatis”? Così come è tradotto adesso parrebbe la “buona
volontà” degli uomini, quando invece si tratta della buona disposizione di Dio
verso gli uomini, con tutto quello che consegue.
(Ancora nel novembre del 2011 i
vescovi italiani votarono per cambiare il “pace in terra agli uomini di buona
volontà” con “pace in terra agli uomini che egli ama”, con 151 voti contro 36
andati alla versione in uso – ndr).
Ma tornando alle parole della
consacrazione nella grande preghiera eucaristica non si percepisce la gravità
teologica della traduzione italiana, che ha reso con due participi passati ciò
che nel testo latino è addirittura al futuro:
– corpo “offerto in sacrificio”
al posto di “tradetur”, “che sarà consegnato”;
– e sangue “versato” al posto di
” effundetur”, “che sarà versato”.
Ne va della comprensione stessa
della messa e del suo rapporto con l’ultima cena e con la passione, morte e
risurrezione di Cristo.
Il traduttore italiano ha
sciaguratamente pensato che il fedele italiano, se avesse ascoltato quei due
verbi al futuro avrebbe potuto immaginare che il Signore non avesse ancora
donato la sua vita per noi…
In realtà è proprio quel futuro
che ci aiuta a comprendere il rapporto tra eucaristia e Pasqua: gli apostoli,
nell’ultima cena parteciparono realmente alla Pasqua di Gesù, prima che
avvenisse storicamente, esattamente come noi oggi vi partecipiamo dopo che è
avvenuta.
L’eucaristia non è memoriale
dell’ultima cena, con enfatizzazione del “banchetto”, ma della passione, morte
e risurrezione del Signore, attraverso il rito compiuto da Gesù nell’ultima
cena. L’eucaristia spezza la barriera del tempo cronologico, e ci rende
partecipi “qui e ora” del mistero pasquale.
Se un fedele italiano avesse
avuto dei dubbi su quel futuro, sarebbe stata una occasione preziosissima di
catechesi semplice e persuasiva sul significato del sacramento.