Incidenti diplomatici che non lo erano

Incidenti diplomatici che non lo erano

Come quello tra Cina e Giappone nato dalle parole di Shinzo Abe a Davos, 10 giorni fa: ma è stato solo un errore di traduzione, dice il governo giapponese


Lunedì il governo giapponese ha fatto sapere di avere richiamato formalmente la società privata di interpreti che si è occupata della traduzione delle discusse parole del primo ministro giapponese Shinzo Abe durante il World Economic Forum di Davos, in Svizzera, il 23 gennaio scorso. Secondo il governo, infatti, l’interprete avrebbe tradotto male la risposta di Abe a una domanda fatta da un giornalista del Financial Times, che aveva chiesto al primo ministro giapponese se fosse “concepibile” una guerra tra Cina e Giappone. Abe, aveva scritto la stampa internazionale, aveva risposto paragonando i rapporti sino-giapponesi con quelli tra Germania e Regno Unito prima del 1914, cioè prima dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, riferendosi al fatto che l’esistenza di forti relazioni commerciali bilaterali non fosse stata in grado di evitare il conflitto.
La trascrizione in giapponese del discorso di Abe non contiene però direttamente questa affermazione. Secondo una traduzione di AFP fornita dalla segreteria di gabinetto, Abe ha detto: «Quest’anno è il 100esimo anniversario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. A quel tempo, Regno Unito e Germania avevano dei rapporti economici molto forti, ma entrarono comunque in guerra. Cito questo fatto come commento aggiuntivo. Se qualcosa di simile a quello che Lei suggerisce dovesse accadere, causerebbe perdite significative sia per il Giappone che per la Cina, ma provocherebbe anche danni rilevanti al resto del mondo. Noi dobbiamo garantire che questo non accada». Il riferimento ai rapporti tra Regno Unito e Germania non sarebbe stata quindi una comparazione riferita direttamente alle relazioni sino-giapponesi.
Nel 2013 il volume dei rapporti economici tra Cina e Giappone ha raggiunto i 312,5 miliardi di dollari, mentre le relazioni politiche sono state molto difficili, secondo molti osservatori le più tese degli ultimi anni. I due paesi stanno litigando da mesi sul controllo territoriale delle isole Senkaku (per i giapponesi, Diaoyutai per i cinesi), che si trovano nel Mar Cinese Orientale e sono amministrate dal Giappone ma rivendicate da Cina e Taiwan. La tensione è salita ulteriormente il 26 dicembre, quando Abe ha visitato il santuario di Yasukuni a Tokyo, luogo simbolico della storia e della cultura del paese in cui si celebrano i caduti per la patria e, tra questi, quattordici persone condannate per crimini di guerra (tra cui il comandante delle truppe giapponesi durante il massacro di Nanchino, in Cina, nell’inverno del 1937-1938, durante il quale furono violentate circa 20mila donne e uccisi circa 250mila civili cinesi).
Secondo la maggior parte degli osservatori, comunque, non c’è pericolo imminente di una guerra tra Cina e Giappone. Come sottolinea sul Wall Street Journal Joseph Nye, professore dell’Università di Harvard ed ex presidente del National Intelligence Council statunitense, il mondo è molto diverso ora e ci sono diverse condizioni che rendono la guerra tra Cina e Giappone un’eventualità molto lontana. Primo, oggi l’arma nucleare – detenuta dalla Cina e dagli Stati Uniti, che agiscono come “protettori” per il Giappone, che invece non ce l’ha – previene il conflitto. Secondo, nonostante il nazionalismo venga usato da entrambi i governi per mantenere alto il consenso interno, né in Cina né in Giappone si vorrebbe oggi sacrificare la crescita economica a causa di una crisi politica andata fuori controllo. Terzo, c’è la Corea del Nord, che molti vedono come fattore di instabilità pronto a sfruttare a suo vantaggio i disaccordi tra i paesi della regione asiatica.

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