Tradurre il Talmud per lanciare Ferrara

Tradurre il Talmud per lanciare Ferrara

«Tutti fuori. La riunione è riservata. Devono parlare del Talmud». Va bene che era la vigilia dello shabbat, il sabato ebraico, e l'incontro è stato convocato dentro il Meis, ma il Talmud ci è subito sembrato un pretesto per mimetizzare temi altri, più forti, segreti. E invece no. I riuniti come in un sinedrio ferrarese nel chiuso della direzione del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah hanno davvero discusso del testo sacro della fede giudaica.
Il nuovo progetto ferrarese è immenso: tradurre lo scritto sapienziale che sostiene quella fede e quella cultura, in italiano. Operazione mai avvenuta, se si considera che il Talmud per la sua possanza conosce soltanto trasposizioni in ebraico moderno e in inglese. L’impresa piace al ministro Massimo Bray che venerdì a Ferrara ha detto di credere nel progetto incompiuto del Meis nell’ex carcere di via Piangipane. Lui, il ministro digitale, assorto, mai stanco di vedere e ascoltare, magro e bianco, ha detto e ripetuto nella nostra città che i musei nuovi gli piacciono, ma devono essere innanzi tutto laboratori di ricerca, non soltanto strutture espositive. E ha ragione. Ferrara ebraica e museo dell’ebraismo sono funzionali appunto all’idea di far coesistere la struttura con l’officina della traduzione del Talmud. L’incontro riservato ha quindi fortificato il senso e la dinamica della struttura ex carceraria, anche perché ha compreso e messo a confronto i massimi livelli locali, regionali, nazionali. Dietro la porta chiusa, intorno al tavolo due ministri, Bray e Franceschini, l’assessore regionale alla cultura Mezzetti, la direttrice regionale dei beni culturali Di Francesco, il prefetto Raimondo, il sindaco Tagliani con gli assessori alla cultura e all’urbanistica Maisto e Fusari, la presidente della Provincia Zappaterra, il presidente della fondazione Meis e il direttore del museo Calimani e Finardi. Più quartier genere di così. Il progetto di traduzione in italiano del Talmud potrebbe trovare proprio nell’Expo 2015 un’occasione per il lancio e l’illustrazione a livello mondiale. Perché una impresa di questo genere chiamerà per forza a raccolta biblisti, esperti di lingue antiche, filologi, storici. Cultura non esposta, ma in movimento, secondo il Bray-pensiero. Dottrina, la sua, molto minimalista e apprezzata, che sa vedere e concepire anche la fine temuta di questo governo. Bray è consapevole che – se l’esecutivo finirà dall’oggi al domani - lui avrà comunque lavorato bene e non avrà rammarichi: non ci sono soste nel suo andare e venire per la penisola e le isole, e neanche acrobazie politiche preistoriche o italiote (di quell’Italia che va autodeprimendosi). L’assessore alla cultura Maisto è arci-certo che il Meis aprirà con i plessi espositivi fondamentali nel 2016 e che per chiudere il cantiere sono disponibili dagli 11 ai 12 milioni di euro. La riunione a porte chiuse è stata necessaria anche per fare chiarezza sulla nuova composzione del consiglio della fondazione che dal ministero va aspettando ancora indicazioni sul numero delle rappresentanze. Il ministro Franceschini è parso determinato – e ci mancherebbe, gioca in casa – sul Meis. Immagina di far riverberare il decreto Valore Cultura con ulteriori finanziamenti almeno nei prossimi dieci anni e dai venturi governi per chiudere il capitolo di via Piangipane. Dieci anni e venturi governi: questo è il ritmo lento delle imprese culturali (e turistiche) del beneamato Paese, purtroppo.
Ma quella impartita venerdì dal ministro Bray è stata una lezione di normalità. Piccoli gesti fisici, verbali, economici: ha lasciato la scorta chissà dove quando eravamo abituati a fenomeni processionali in doppiopetto e auto altrettanto blu con salamelecco anche al più basso in grado nella gerarchia ministeriale; mi ha raccontato di sua madre nata in Turchia, ad Izmir, e della sua formazione leccese, non appena ha visto, annusato e goduto della sarabanda del mercato ferrarese; ha preteso di pagare il catalogo dei Diamanti. Questi dovrebbero essere lo stile e il passo della rivoluzione culturale italiana: il ritorno a un’umanità quotidiana, solare e severa, che pretende di tradurre il Talmud al tempo di internet, a Ferrara. Proviamoci.

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