Sinodo o collegio? Il traduttore corregge il papa

Sinodo o collegio? Il traduttore corregge il papa

Nella terza e ultima parte dell’omelia pronunciata nella festa dei santi Pietro e Paolo, alla presenza di rappresentanti del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, Francesco ha citato tre volte la “Lumen gentium”, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa.
La prima citazione era tratta dal paragrafo 18, che “come oggetto certo di fede” ripropone “la dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano pontefice e del suo infallibile magistero”.
La seconda era tratta dal paragrafo 19, che ricorda come Gesù costituì gli apostoli “dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro”.
La terza era tratta dal paragrafo 22, che ribadisce che “il collegio o corpo episcopale non ha autorità, se non lo si concepisce unito al pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli”.
Nell’intera costituzione “Lumen gentium” non si fa menzione dell’istituzione denominata sinodo dei vescovi. Anzi, la stessa parola “sinodo” quasi neppure c’è. Vi ricorre una sola volta, come sinonimo del concilio ecumenico stesso.
Del sinodo dei vescovi, in tutti i documenti del Vaticano II si parla brevemente: soltanto nel paragrafo 5 del decreto “Christus Dominus” sulla missione pastorale dei vescovi. Dove si legge:
“Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso romano pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato sinodo dei vescovi. Tale sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale”.
È accaduto però che papa Francesco, nel pronunciare la terza parte della sua omelia, sia sia distaccato in tre punti dal testo scritto. E abbia preferito dire “sinodo dei vescovi” invece che “collegio dei vescovi”, e “sinodalità” invece che “collegialità”.
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale di questa terza parte dell’omelia, con sottolineate le aggiunte orali al testo scritto:
“Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, ‘principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione’ (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore ‘costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro’ (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E il Concilio continua: ‘questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio’ (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione”.
Non è la prima volta che papa Jorge Mario Bergoglio fa capire d’essere intenzionato a rafforzare il ruolo del sinodo dei vescovi.
Ma questa volta si è espresso oralmente in una forma che – se messa per iscritto in anticipo – avrebbe fatto alzare il sopracciglio a qualche revisore della congregazione per la dottrina della fede. Perché un sinodo dei vescovi, istituto parziale e transeunte, non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo da sempre e per sempre della struttura della Chiesa.
Così, quando il traduttore ufficiale in francese dell’omelia di papa Francesco, arrivato all’ultima riga della terza parte si è imbattuto in questa approssimazione, gli è scappato di… correggere il papa, mettendo tra parentesi la traduzione letterale accompagnata da un punto interrogativo:
“… avec le Collège (Synode?) des évêques…”.
Ai giornalisti accreditati presso la sala stampa vaticana, la prima versione in francese dell’omelia del papa è arrivata così come sopra, poco dopo la fine della celebrazione.
Solo più tardi, quando l’omelia è comparsa nel sito del Vaticano, la versione francese è apparsa pulita, senza più la glossa del traduttore.
“… avec le Synode des évêques…”.

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