Vatteroni, il Signore delle Voci: «Il cinema italiano? Più idee e e meno politica»


Vatteroni, il Signore delle Voci: «Il cinema italiano? Più idee e e meno politica»


Attore e regista ha inventato il Leggio d'Oro, l'Oscar del Doppiaggio, con Alberto Sordi come padrino: ama i ruoli da carogna, il western di Sergio Leone e Sharon Stone. É in tournee con «Le variazioni enigmatiche». E sui nostri film ha le idee chiare: «C'è solo Tornatore. Il cinema italiano è finito con De Sica e Fellini»

Ha le voci di dentro e non soltanto perchè Vittorio Vatteroni, 50 anni, è attore e regista. Ha inventato il Leggio d'Oro, l'Oscar del Doppiaggio, che dirige e coordina, e quest'anno il suo progetto è quello di riunire il premio a Voci nell'Ombra dopo la scomparsa a San Valentino del suo inventore: «Lo devo alla memoria di Bruno Paolo Astori che di quel premio è stato l'anima».


Vatteroni è in tour con le «Variazioni Enigmatiche», testo di Eric-Emmanuel tradotto da Glauco Mauri. E gli enigmi del teatro lo rivela a noi.
Quante opere ha recitato?
«Almeno una quarantina. E con tanti bravi colleghi».
Il suo primo ruolo?
«Ho iniziato con l'imitazione di Morandi. Poi sono diventato Quasimodo, il gobbo di Notre Dame».
La sua migliore interpretazione?
«Svetiacov, nel Canto del cigno di Checov. Un monologo straordinario».
Il personaggio che ha più amato?
«Riccardo De Mitri, il ministro della commedia di Garinei e Giovannini "Se devi dire una bugia dilla grossa"».
...anche perchè
«Mi ha regalato il Premio Miglior regia teatrale nel 2007».
La soddisfazione più grande
«La Medaglia d'oro del presidente della Repubblica Napolitano per il Leggio d'oro»
La motivazione
«Aver contribuito al patrimonio artistico del Paese. Per chi come me ama il teatro e la cultura è il massimo che si possa pretendere».
Il suo incontro indimenticabile
«Alberto Sordi. É con lui che nel 1995 per i cent'anni del cinema che parlai di un Oscar per i doppiatori che non esisteva. Il primo Leggio d'Oro a Pontremoli è stato lui».
A proposito di voci: di quale doppiatore le piacerebbe avere la voce?
«Quella di Pino Locchi. Cambiava con facilità toni e timbrica. Diventava sensuale su Sean Connery e divertente su Terence Hill».
Cosa rende grande una voce? 
«Il suono di ogni fonema e la tecnica rendono qualsiasi voce una voce sensuale».
Tra i doppiatori: una voce che non dimenticherà mai?
«Quella di Giuseppe Rinaldi: senza di lui Marlon Brando, Paul Newman e James Dean non sarebbero stati così amati».
La voce che ha amato di più
«La prima voce che ho amato è quella di Emilio Cigoli. Per me era lui il vero John Wayne».
La voce più divertente.
«Carlo Romano: tutti i personaggi con lui erano divertenti da Jerry Lewis fino a Hitchcock».
Quella più sexy.
«Luca Ward, appena lo ascolti parlare ti fa stare bene».
Tornando al teatro: si recita più col cuore o col cervello?
«Con il cervello devi intuire ciò che dovrai recitare, ma con il cuore e l'anima devi dare tutto te stesso al personaggio».
Il teatro migliora l'umanità, la peggiora o la lascia così com'è?
«Se ami il teatro migliori. É una ricchezza che tramandi ai tuoi figli e che nessuno ti può rubare».
Le piacciono più i ruoli comici o drammatici?
«Mi piacciono i cattivi. Perché nella vita sono uno scanzonato bambinone»
Una vocazione...
«Proprio essere stato spesso cattivo mi ha reso più buono nella vita».
Meglio il set o il palcoscenico?
«Il palcoscenico per me è viscerale. Tremo e piango ogni volta che entro in un teatro».
In quale film le sarebbe piaciuto recitare
«Nella trilogia western di Sergio leone. "C'era una volta il west" è il massimo. Sarei stato un antagonista perfetto».
Chi le ha insegnato di più?
«Mario Carotenuto, Nando Gazzolo, Mario Castellani, Aroldo Tieri, Gianni Agus. Mi hanno insegnato come si fa cinema».
La sua convinzione più tenace
«Credere in quello che fai. E solo se sarai umile sarai grande».
L'attore che ama di più
«Terence Hill, il mio idolo di bambino. Indimenticabile recitare con lui in Don Matteo».
E l'attrice?
«Sharon Stone. L'ho incontrata alla prima di "Basic Instint". Un colpo di fulmine. Straordinariamente bella e sensuale».
Il più bel personaggio nella storia del teatro?
«Edmund Kean, un attore britannico del Settecento, sfortunato nella vita ma insuperabile sulla scena». 
Più facile far piangere o far ridere?
«Far piangere. Fare ridere è un'arte».
Chi ha fatto più scuola nel teatro italiano?
«Su tutti Strehler e Albertazzi».
Perchè gli attori fanno piu ridere delle attrici?
«Forse perché le attrici non sono mai riuscite a scindere i personaggi dal proprio corpo di donna».
Tranne qualche eccezione...
«Monica Vitti e Mariangela Melato. Hanno dimostrato che anche se comica e sgraziata puoi essere una bomba sexy».
A quale personaggio del cinema o del teatro farebbe la corte?
«Per un ruolo nel cinema a Robert Redford, per uno a teatro a Giorgio Albertazzi».
...e un'attrice
«Catherine Zeta Jones. Per me una straordinaria donna». 
S'affida molto al copione?
«No, il copione è il pretesto per entrare nella storia, non puoi fare tuo il ruolo se non entri nel personaggio. Io non recito un ruolo, io sono quel ruolo».
Il cinema è in crisi o è in crisi di idee? 
«É in crisi di idee, perché non ci sono più autori e registi che dedicano il loro tempo a creare capolavori».
...e quindi?
«Il cinema italiano è morto con Fellini e De Sica. L'ultimo è Tornatore anche se politicamente schierato».
...ma?
«Ci vorrebbero più idee culturali che politiche».
Recita anche nella vita?
«Non ne sono capace. Se mento se ne accorgono tutti...»
In quale massima si identifica di più?
«Quella di Edmund Kean: non si recita per guadagnare il pane, si recita per mentire, per smentirsi, per essere diverso da quello che sei, si recitano parti di eroi perché si è dei vigliacchi, si recitano parti di santi perché si è delle carogne, ma soprattutto si recita perché si diventerebbe pazzi non recitando».

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