E' arrivata in libreria una nuova traduzione in italiano dell' 'Ulisse' di James Joyce


E' arrivata in libreria una nuova traduzione in italiano dell' 'Ulisse' di James Joyce, firmata questa volta da un vero scrittore, Gianni Celati, dopo la prima, storica, mondadoriana, di Giulio De Angelis (1960) e quella recente di Enrico Terrinoni e Carlo Bigazzi per Newton Compton 2012

Gianni Celati
traduttore di Joyce

JAMES JOYCE, ULISSE
EINAUDI
(traduzione di GIANNI CELATI, pp.992 - 28 euro). 

E' arrivata in libreria una nuova traduzione in italiano dell' 'Ulisse' di James Joyce, firmata questa volta da un vero scrittore, Gianni Celati, dopo la prima, storica, mondadoriana, di Giulio De Angelis (1960) e quella recente di Enrico Terrinoni e Carlo Bigazzi per Newton Compton (2012), che ha restituito al capolavoro una sua leggibilità nella nostra lingua. Lo scrittore, che oggi ha 76 anni, si laureò con Carlo Izzo proprio con una tesi su 'Ulisse'. Sapeva bene quindi con cosa avrebbe avuto a che fare se, alla Einaudi, ci sono voluti 5 anni per convincerlo a tentare l'impresa, e a lui 7 per concluderla, come confessa nell'introduzione e come sappiano dalle voci, le anticipazioni, le affermazioni che l'hanno resa quasi mitica in questo lungo periodo di gestazione. La scelta di Celati è proprio quella della leggibilità e di una scrittura in cui tutto quel che c'é da dire, implicazioni, giochi semantici, rimandi, allusioni, citazioni stiano nel testo. Così non ci sono apparati critici, a confronto delle oltre cento pagine di note dell'edizione curata da Terrinoni, che in esse ha anche un suo valore particolare. "Imponente e grassoccio, Buck Mulligan stava sbucando dal caposcala con in mano una tazza piena di schiuma, su cui s'incrociavano uno specchio e un rasoio. La sua vestaglia gialla, priva di cinture, era lievemente sollevata sul retro da una dolce arietta mattutina
 Tenendo alta la tazza, intonò: -Introibo ad altare Dei. Fermatosi, scrutò giù nel buio della scala a chiocciola con un richiamo sguaiato - Vieni su, Kinch, disgustoso d'un gesuita", sono le prime righe della versione di Celati. Quelle di Terrinoni-Bigazzi suonano invece: "Statuario, il pingue Buck Mulligan, spuntò in cima alle scale, con in mano una ciotola di schiuma su cui giacevano in croce uno specchio e un rasoio. La vestaglia gialla, slacciata, era lievemente sostenuta alle sue spalle dall'aria delicata del mattino. Alzò la ciotola al cielo e intonò: Introibo ad altare Dei. Immobile scrutava dall'alto la buia scala a chiocciola, e sgraziato strillò: - Vieni su, Kinch. Vieni su, spaurito gesuita".
 In Celati appare una semplicità e felicità di scrittura che solo gli specialisti sono in grado di dire quanto sia vicina all'originale, ma comunque appare funzionale a un approccio che non sia da studioso, scientifico. Racconta di antichi e perduti modi gergali, stilemi di ogni tempo, reminiscenze colte e, dopo aver fatto l'esempio particolarissimo della locuzione "Ayenbyte of Inwyt" ritrovata in un testo trecentesco del Kent, da lui tradotta "Morsura animi", per mantenere il sapore di una voce antica, Celati spiega: "Ho capito che dovevo coinvolgermi in simili azzardi e accettare il disordine delle parole, come le mescolanze e variabilità delle fantasie. Per questo non è importante capire tutto: è importante sentire una sonorità (una tonalità musicale o canterina) che diventa più riconoscibile proprio quando ci sembra di piombare fra termini incerti - gerghi fossilizzati, chiacchiere da pub, stele di varie epoche". In varie occasioni Celati ha confessato che il pezzo più difficile è stato quello delle sirene, l'11/mo episodio che inizia "Bronzo con Oro udito il suon di zoccoli, d'acciai rombanti. Impertenent tnt tnt" "Bronzo accanto a oro udì ferri di zoccolo, d'acciaio tonante. Imperthnthn thnthnthn" per Terrinoni-Bigazzi).
 Del resto, per lo scrittore "Ulisse è il libro statisticamente col lessico più espanso di qualsiasi testo a stampa che si conosca, compresa la Bibbia, perché non c'é libro che abbia una tale quantità di parole diverse". Un'inferno, un'odissea fino a quando capì che tutto era da considerarsi come un gioco: "non c'é nulla di serio in Joyce. Neanche mezza frase. E' tutto uno scherzo, come in Rabelais, come la lingua maccheronica, come Teofilo Folengo: capito questo, l'impresa rimaneva terribile ma possibile fattibile". Si è intanto aperto ieri, con una serata di letture dalla sua traduzione di Joyce e il suo commento, 'La dispersione delle parole', l'omaggio che il Comune di Bologna dedica allo scrittore con appuntamenti sino a novembre, con gli amici Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia e Paolo Nori, tra proiezioni di suoi film, lettura di suoi libri e testi teatrali, cui sarà presente lui stesso, tornato dall'Inghilterra dove vive da quando nel 1989 è andato in pensione da docente di letteratura angloamericana al Dams bolognese.

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