Otto doppiatori in gara a Roma per dare la voce a Woody Allen

Woody Allen ha perso la voce. Non la sua, ma quella che per decenni gli aveva dato Oreste Lionello e che ormai, almeno per noi italiani, aderiva al grande comico newyorkese come una seconda pelle. Solo che da tre anni Lionello non c’è più, bisogna sostituirlo. E ora che il nuovo film di Woody, girato a Roma, sta per uscire, la casta dei doppiatori è in fermento: chi sarà il fortunato? Negli studi capitolini di doppiaggio i provini impazzano: in finalissima sono rimasti in otto.

Otto nomi esperti e affermati, ma chi sa tiene la bocca cucita. La bontà della scelta è decisiva, ma il conclave è ancora in corso e per giudicare bisognerà aspettare il 20 aprile, data d’uscita del film. Che in originale si intitola «Nero Fiddled», alla lettera Nerone suonava (to fiddle però vuol dire molte altre cose, fra cui truffare, imbrogliare, alzare un polverone), ma da noi si chiamerà, accidenti che fantasia, «A Roma con amore».
Come sanno anche i sanpietrini, infatti, Woody Allen stavolta ha girato nella nostra città, ma soprattutto è tornato davanti alla macchina da presa dopo sei anni.

L’ultimo film in cui appariva anche come attore infatti era «Scoop», divertimento londinese in cui impersonava un illusionista da strapazzo, il mago Splendini, accanto a una Scarlett Johansson acqua e sapone. Nei cinque film successivi Allen si è guardato bene dall’apparire, ma ora che stiamo per ritrovarlo, inevitabilmente un po’ più spiegazzato di prima, la scelta della voce è fondamentale ed è probabile che lo stesso Allen, notoriamente molto esigente, stia seguendo da vicino la faccenda.

Il lavoro fatto da Oreste Lionello dai lontani tempi di «Ciao Pussycat», 1965, è infatti considerato da tutti un capolavoro di quella sublime impostura che va sotto il nome di doppiaggio. Doppiare un attore, e a maggior ragione un comico, non significa infatti solo rispettare i toni, i semitoni e i sottintesi della sua voce, che può concentrare tesori di senso (e di divertimento) in una pausa o in un modo speciale di scivolare sulle sillabe. Significa reinventare tutto un mondo, un carattere, una psicologia, un modo di concepire i rapporti tra i sessi o tra condizioni sociali diverse, trasferendo quella cultura all’interno della nostra, che non è necessariamente omologa all’originale.

In questo senso Lionello aveva compiuto un’operazione geniale: accentuando con libertà gli impacci e le nevrosi di Woody aveva reso chiari e leggibili codici appartenenti alla rigogliosa pianta della comicità ebraica newyorkese, insomma aveva italianizzato Woody Allen, per quanto possibile, facendone un comico amatissimo nel nostro Paese, così lontano dal suo. E ci era riuscito non solo perché il personaggio Allen allora era nuovo di zecca, ma perché veniva dal lavoro su altri giganti come Peter Sellers, Jerry Lewis, Marty Feldman, più tardi il Michel Serrault del «Vizietto». Chiunque prenda il suo posto avrà una bella gatta da pelare.

Ma c’è da augurarsi che la distribuzione italiana approfitti della babele di attori e di lingue che si intrecciano nel film per mandare in sala un numero finalmente cospicuo di copie sottotitolate. Come chiede una fetta crescente di pubblico, prova ne siano le file che si formano nei rari cinema che programmano film in originale. E come sarebbe davvero ora di fare anche nel nostro Paese.

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